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R Recensione

8/10

Enzo Avitabile

Black Tarantella

Da sempre uno dei musicisti di spicco della musica italiana (nel suo curriculum ci sono collaborazioni con James Brown, Tina Turner e Afrika Bambaata) Enzo Avitabile ha dimostrato, in trent’anni di carriera, le sue grandi doti, tenendo sempre presente le radici di provenienza, ma senza mai aver paura di aprirsi al nuovo. I vertici di questa lunghissima carriera son senza dubbio l’incontro con i Bottari di Portico e il cd Napoletana, che lo porta nel 2009 a vincere la Targa Tenco. Oggi Avitabile compie un ennesimo passo avanti nella sua ricerca musicale, collaborando con artisti delle più varie provenienze, creando un suono che unisce tradizione a innovazione, jazz e blues a pop e world, canzone d’autore e flamenco, usando la musica come veicolo di amicizia e fratellanza. Come lo stesso autore tiene a precisare, questo non è un disco di duetti, ma un dialogo tra persone di cultura diversa che si incontrano, un inno alla tolleranza.    

In questo incontro di culture, spicca l’unione tra quella mediterranea e quella africana di Mane e Mane (un classico scritto con Mory Kante e qui riproposto con il musicista mauritano Daby Touré) con quel verso bellissimo, la neve del deserto e la sabbia del Vesuvio a simboleggiare l’unione, il voler camminare insieme delle due culture. La madre Africa ritorna in E a Maronn’ Accumparett’ in Africa, ritmata, una sorta di rock soul in cui la voce splendida di David Crosby si amalgama alla perfezione a quella di Avitabile, per raccontare un sogno di speranza che metta fine alle sofferenze dell’Africa (le guerre, la fame, la schiavitù). Sofferenze raccontate anche in Nun è Giusto, una tarantella soul sull’ingiustizia della povertà di una parte del mondo, quella parte in cui si muore solo perché non ci sono ospedali.

Sempre attento ai problemi della realtà, del quotidiano, Avitabile sorprende con Gerardo Nuvola ‘e Povere, una storia vera di migrazione e morte sul lavoro, in cui il suo napoletano si accompagna al dialetto pavanese di uno splendido Francesco Guccini in quello che risulta essere uno dei vertici del disco.

Altro capolavoro è A Nnomme ‘e Dio, un soul mediterraneo, un brano intenso, un canto di dolore per tutti i crimini commessi in nome di un dio, in ogni parte del mondo e in ogni epoca, dall’inquisizione ai talebani (e Dio muore in nome di dio).

La religiosità popolare è uno dei tratti caratteristici della poetica di Avitabile, che in questo lavoro arriva a citare le Sacre Scritture in Eli’ Eli’ (le ultime parole di Gesù sulla croce) per descrivere l’uomo abbandonato in un mondo dove vince sempre il denaro sulla verità. Un brano da brividi, con il sax commovente di Avitabile e la partecipazione intensa e toccante del grande Eric Morente, uno dei grandi esponenti del flamenco (qui alla sua ultima registrazione prima della scomparsa).

Ma c’è spazio anche per la speranza in E Ancora Tiempo con la voce e la chitarra blues dell’amico di sempre Pino Daniele,  c’è l’invito a non mollare di Aizamm’ Na Mana, ritmata, con le percussioni che guidano il brano e un grande Raizz ospite alla voce, e per l’invettiva contro il perbenismo di Mai Cchiù, dove il suono dei bottari incontra i rappers Co’ Sang, e in cui Avitabile dimostra di sapersi cimentare anche in questo campo.

Il musicista partenopeo tocca poi vertici di lirismo in  Suonn’ a Pastell’, un brano lento cantato con l’anima, dedicato ai bambini che subiscono violenze, con l’insospettabile voce di Bob Geldof che risponde a quella di Avitabile, e in No è No dove il dialetto napoletano introduce la dolce voce in siciliano di Franco Battiato. Breve, lirica, intensa. Poesia con la P maiuscola.

Chiude il classico manifesto di intenti di Avitabile, Soul Express, il treno su cui possono salire tutti, ladri e santi, ubriaconi, emarginati, un treno che non ha colori ed una sola classe.

Con questo lavoro, Avitabile dimostra una volta di più come la sua musica sia realmente un linguaggio internazionale, che supera le barriere geografiche, linguistiche e di genere musicale. Chi pensava che con il precedente disco Avitabile avesse raggiunto l’apice della carriera, dovrà ricredersi. Questo è uno dei dischi più belli di questa prima parte dell’anno, e Avitabile si conferma uno degli artisti più internazionali che il nostro paese abbia prodotto, come dimostra il documentario Enzo, girato da Jonathan Demme e che sarà presentato al prossimo Festival del Cinema di Cannes.

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andy capp 5,5/10
REBBY 6/10

C Commenti

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crisas alle 0:20 del 30 aprile 2012 ha scritto:

La musica italiana in generale ha il grosso problema del provincialismo, questo al dell'idioma usato.

Filippo Maradei alle 0:56 del 30 aprile 2012 ha scritto:

In che senso provincialismo? Sono curioso.

Emiliano (ha votato 6 questo disco) alle 16:58 del 30 aprile 2012 ha scritto:

Per nulla male, anche se ho da sempre le mie riserve nei confronti dei lavori costruiti sulle collaborazioni (alcune , in questo caso, assolutamente prescindibili).

crisas alle 18:23 del 30 aprile 2012 ha scritto:

La musica italiana è troppo legata al territorio ed alla sua cultura, non è difficile capire il luogo di appartenenza di un cantautore. Figuriamoci se si pensa di uscire dai confini culturali musicali italiani ed abbracciare le idee di oltreconfine. C'è totale assenza di dialogo e contaminazione moderna con le nuove idee di oltreconfine e questo porta sempre alla ripetitività di fantasia ed idee. Questo discorso va ad di la quest album che è volutamente mediterraneo, etnico. Ma anche qui non c'è qui una sola idea, dico una che vada oltre ai confini canonici e classici del genere, segue sempre i schemi e le regole tipiche del genere. Linea blu ringrazia per l'ennesima sigla

Ubik alle 19:03 del 30 aprile 2012 ha scritto:

In primo luogo perchè l'appartenenza alla propria terra (in senso musicale) deve essere in se un qualcosa di negativo? Se la musica è fatta di concetto e forma, perchè questa contaminazione non può avvenire soltanto a livelli formali? Perchè allora non condanniamo tutti i dischi che non si pongono da ponte alla musicalità mondiale? E' vero, questo è un disco napoletano; ma con diverso idioma sarebbe stato accusato di provincialismo? Io non credo... (Premettendo che il disco in se può piacere o no, e mi sembra il minimo).

Filippo Maradei alle 20:57 del 30 aprile 2012 ha scritto:

Io sono in perfetta sintonia con Ubik: per me il provincialismo è sinonimo di ricchezza, d'introspezione culturale, una terra nuda che si racconta. Perché dovremmo uniformarci alle mode d'oltremanica, per dire, o agli americani? Come se anche loro, tra l'altro, non avessero radici regionali o cittadine (addirittura di paese, contrade... penso alle piccole città del Texas in cui si sono formati gruppi su gruppi; ma anche Detroit e la sua peculiare techno, o alla Bristol inglese, contea del trip-hop...). W il provincialismo.

Lezabeth Scott alle 21:32 del 30 aprile 2012 ha scritto:

Anche secondo me ha ragione Ubik.

crisas alle 2:51 del primo maggio 2012 ha scritto:

Perchè la musica, per essere viva, come tutte le cose della vita ha bisogno di una evoluzione. Io non sono contro l'appartenenza al territorio ma alla chiusura tra le mura del territorio. Le correnti musicali di Bristol e Ditroit non posso essere di certo accusati di chiusura mentale perchè caratterizzata. Io accuso è la "regola" della chiusura provinciale, non il provincialismo visto come caratteristica ed idea territoriale. In Italia sembriamo vivere in un isola e non mi sembra che si possa andara fieri. Non per niente noi ascoltiamo la musica di Bristol e non viceversa.

crisas alle 2:56 del primo maggio 2012 ha scritto:

( quanti errori grammaticali. Dovrei rileggere prima di inviare! )

Filippo Maradei alle 9:42 del primo maggio 2012 ha scritto:

Non per niente noi ascoltiamo la musica di Bristol e non viceversa.

Appunto, non viceversa. Quindi quelli chiusi nel proprio (bellissimo) orticello semmai sono altri. ) Che poi non è vero, per me, che ci rintaniamo nel nostro buco: certo, la nostra è una tradizione prevalentemente di cantautorato - da sempre - ed è logico che portiamo avanti quella (e qui siamo sempre stati grandi inventori, roba come "Anima Latina" di Battisti, "Semper Biot" di Edda, "Andare Camminare Lavorare" di Ciampi... e mille di questi, gli altri se li sognano). Ma anche per il post-rock abbiamo detto la nostra (Giardini di Mirò), per la wonky (Digi G'alessio), per l'avanguardia in tempi e luoghi impossibili (Luciano Cilio, pace all'anima sua), per il glo-fi (Casa del Mirto) o anche il dubstep (Aucan), per l'avant-hiphop (Uochi Toki). Insomma, per essere una penisoletta piccina picciò non mi sembra che abbiamo fatto e facciamo pochino, no? ) Fossili, piuttosto, rimaniamo in altre cose...

TheManMachine alle 9:47 del primo maggio 2012 ha scritto:

Un lavoro interessante, ricco di atmosfere intense, e ci tornerò sopra con più calma, alcuni brani particolarmente coinvolgenti per me, anche se non nuovi nell'impostazione e nelle sonorità, come quello con Battiato (vorrei riuscire a fare il tremolo che fa lui appoggiandolo per es. su "i campi..."!, grande!). Un limite, paradossalmente, può essere la veramente troppa carne al fuoco. Come se la caverà Avitabile a proporre questo album live, visto che praticamente in ogni brano c'è una guest appearance?... Complimenti al recensore.

Sig.ROSSi alle 18:27 del 4 maggio 2012 ha scritto:

Un disco, ricco, bello, sincero. Non capisco chi parla di provincialismo, qui ci sono voci e collaborazioni d'oltreoceano e centinaia d'anni di cultura popolare italiana e non!!