R Recensione

8/10

Pelosofolk

Storie di Sud

Fra le più vivide realtà della musica tradizionale del meridione, i Pelosofolk, con appena due album usciti in sordina, hanno brillantemente eluso la trappola dell’anonimato grazie al passaparola dei fan e a una lunga serie di apprezzatissimi concerti. A parlare sono i numeri, e in particolare quelli delle oltre 10,000 visite che ha implacabilmente registrato il contatore virtuale del loro profilo su Myspace in meno di due anni. Niente male affatto per un gruppo che, a causa della peculiarità della sua scelta stilistica, in teoria avrebbe dovuto avere notevoli difficoltà ad uscire dall’angusta cerchia della cultura comunale. Già, in teoria, ma la pratica ha mostrato invece un gruppo in grado di ricevere apprezzamenti non solo in tutto il Sud Italia, ma anche altrove, in particolare in Lombardia e in Toscana.

La città di residenza della band, Irsina (MT), era nell’antichità chiamata Montepeloso ma nel 1982 il nome è stato cambiato perché ritenuto alquanto imbarazzante. Non per i Nostri che, invece, additandolo a motivo d’orgoglio, lo hanno strappato dal lento logorio del tempo, fieramente rispolverato e riproposto nel nuovo millennio. Del resto, l’attaccamento alle radici e alla cultura della loro terra è il leitmotiv che tiene unita tutta la loro giovane vicenda artistica.

I Pelosofolk si formano infatti nel 2000 con il chiaro intento di riproporre la tradizione musicale e la cultura folk irsinese. Non si tratta però di una mera operazione di revival storico-musicale o di un semplice recupero filologico di etnomusicologia, ma bensì di un progetto più ambizioso, che mira a fondere il passato con il presente, tradizione e modernità. Il suono dei Pelosofolk vuole sempre essere in grado di parlare il linguaggio dell’attualità.  

Il loro etno-folk prende forma in questo primo album, Storie di Sud, che si avvale di una line up molto vasta: oltre a sette membri regolari, altri tre musicisti collaborano in modo non secondario alla riuscita del progetto. Il disco, coprodotto con la provincia di Matera, è significativamente improntato nella direzione di una elegante ed elaborata riproduzione di brani della tradizione irsinese (U’pzz’cantò, Marèj’ a Mar’nell, I patron d’ stù paes) ma che include anche composizioni personali fra cui sono da ricordare, quantomeno, le impegnate Odio è amore e Sc’em a Scanzan, due tarantelle dai ritmi frenetici e trascinanti unite dal tema della difesa e dell’amore della propria terra (memorabili i versi: E il tuo odio è cresciuto smisurato come l’oceano/ Duro come la roccia/ implacabile come l’acciaio/ Pari soltanto all’amore per il tuo popolo).

Con il secondo album, Cambi di tempo, la formazione subirà alcuni significativi mutamenti d’ organico fra cui si registra l’entrata in presa stabile di un bassista, Nicola “Nuzzoles” Nuzzolese. Ma sarà soprattutto il loro suono a cambiare in maniera evidente, in favore di un riuscitissimo folk-rock ambizioso e suadente che sembra in grado, senza comunque perdere il forte legame con la tradizione locale, di poter parlare a un pubblico decisamente più vasto.

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