Phantom Band
Phantom Band
Alzi la mano chi conosce i Phantom Band!
Non fate i furbi, non sono quei quattro inglesotti che hanno esordito due anni fa con il loro Kraut Rock robotico. Eppure il Kraut c’entra, e di quello con la K maiuscola.
Portabandiera del semi-sconosciuto progetto Phantom Band è Jaki Liebezeit, batterista del gruppo che ha allo stesso tempo gettato le fondamenta del genere e ne ha dato uno dei migliori esempi.
Tago Mago non vi dice nulla??
Sì, sono i Can, la band di Damo Suzuki, archetipo del sound ipnotico e marziale partorito dalle rigide terre teutoniche.
Esaurita la verve creativa dei Can, i membri del gruppo si sparsero a macchia d’olio in progetti paralleli, tra cui, appunto, questa misconosciuta Phantom Band.
Arricchito collaborazioni più o meno eccellenti (il basso ed alcune parti vocali sono affidate a Rosko Gee dei Traffic, e alla chitarra Dominik Von Senger), l’album d’esordio (da poco ristampato dalla label Bureau B) è incentrato sullo stile poliritmico di Jaki, che abbandona le ritmiche secche ridondanti dei Can, a favore di uno stile variegato che coniuga Jazz e tribalismi etnici, il tutto arricchito dall’innesto di percussioni e fiati che contribuiscono a creare l’atmosfera afro a cui si abbevera tutto l’album, sfiorando in alcuni frangenti i lidi del funk e del rock classico intessuto di partiture prog.
Fra suggestioni etniche tribali e tramonti nella savana torrida e selvaggia addomesticata da frustate prog e fitti tappeti percussivi, si snoda un album piuttosto lineare e avaro di sorprese, in preda ad un clima mitigato e innocuo generato dallo scontro fra le correnti calde della musica etnica e la freddezza Kraut, gravato da un eccessivo e ridondante avanguardismo musicale, risultato di un approccio troppo mentale e poco fisico alla materia etnica, che per natura umana, vive di battiti e pulsazioni primordiali.
Un connubio poco riuscito, a cui farà seguito un solo altro album, “Freedom Of Speech”, ancor di più impelagato in sperimentalismi di ogni sorta.
Disco strettamente consigliato ai cultori del genere; per tutti gli altri c’è sempre il compianto Fela Kuti a salvarci dalle brutte figure.
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