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R Recensione

7,5/10

Radiodervish

Il Sangre e il Sal

Il percorso dei Radiodervish tra le culture del mediterraneo quest’anno ci racconta di porti, di viaggi, di partenze e di sradicamenti, ma anche di senso di appartenenza. È questo il significato del titolo del disco, sottolineato anche dall’uso del Sabir, l’antica lingua dei porti del mediterraneo. “Il Sangre e il Sal è infatti un modo di dire in lingua Sabir per indicare questa doppia condizione tipica di chi è costretto a viaggiare per mare: il sangue, che rappresenta il legame con le nostre origini, e il sale, che il mare ci lascia addosso dopo il viaggio. Appartenenza e sradicamento quindi sono i due concetti fondamentali per entrare nello spirito di questo nuovo, affascinante lavoro di Nabil Salameh e Michele Lobaccaro.

Al centro di tutto ancora una volta il mediterraneo, con le sue lingue, la sua musica e la sua cultura che si incontrano e si mischiano. Se “Itaca (quale titolo migliore per parlare di viaggi, abbandoni e ritorni?), è una ballata dolcissima dai sapori mediterranei, ispirata da una poesia di Konstantinos Kavafis, in “Ali’ dagli occhi azzurri” la band riprende Pasolini e la sua celebre Profezia, trasformandola in una ballata cantata in italiano ed in arabo, mentre in “La beaute’” troviamo alcuni versi di Charles Baudelaire, su un tappeto sonoro fatto di fisarmonica e chitarra acustica, con le onde della risacca del mare in sottofondo. Non manca la poesia araba, qui rappresentata da una poesia di Mahmoud Darwish in citata in “Una candela nel buio”.

È un vero e proprio in contro di culture: quella classica e quella moderna, della Grecia, del mondo Arabo, della Francia, che si incontrano in Italia, vista dai Radiodervish come vero e proprio ponte tra Europa e Mediterraneo. Questo incontro di culture si riflette anche nella musica dei Radiodervish: in “Oasi” strumenti a corda del mediterraneo e strumenti elettrici occidentali si incrociano in un’accattivante pop song, citando Rimbaud, e cantando in italiano ed in arabo, mentre in “Time for a coffee” troviamo musica mediterranea e rock, che si si incontrano e mischiano così come la lingua inglese, l’arabo e l’italiano, per raccontare con acuta e sottile ironia il dramma dell’apartheid subito dalla popolazione palestinese.

Sempre con uno sguardo attento al presente, i Radiodervish omaggiano il ricordo del sindaco di Pollica Angelo Vassallo e la sua lotta contro la malavita in “Il sogno delle lucciole”, un brano cantautorale e folk, con una frase in arabo, e le percussioni in evidenza, e non dimenticano il problema della precarietà del lavoro, che in “Nuovi schiavi” viene identificata appunto come la nuova schiavitù. Il disco si chiude con una canzone d’amore, la title track “Il sangre  e il sal”, una lenta ballad cantata in Sabir, la lingua dei porti del mediterraneo, nata dall’insieme di italiano, veneziano, genovese, spagnolo, francese, arabo, latino.

Il Mediterraneo dei Radiodervish è questo, un spazio fatto di persone (e non di nazioni), con una cultura millenaria, rappresentato dai tanti poeti citati nelle canzoni del disco (Omero, Kavafis, Pasolini, Darwish, Panagoulis, Baudelaire, Matvejević), che con le loro diverse lingue hanno raccontato questo mare e la vita delle sue genti, così come la band pugliese lo racconta da anni con la sua splendida musica. 

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C Commenti

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Rosa Rosa (ha votato 10 questo disco) alle 22:31 del 17 ottobre 2018 ha scritto:

Bellissimo!

Giuseppe Ienopoli alle 10:59 del 8 gennaio 2019 ha scritto:

"Il Mediterraneo dei Radiodervish è questo, uno spazio fatto di persone e non di nazioni" ... a chi potremmo raccontarlo?!

Il sangre e il sal evocano simbolismi ancestrali in un'epoca in cui il tempo cronologico sembra non aiutare più la logica umana e forse anche il pensiero ha il suo buco dell'ozono ...

Proposta interessantissima e sonorità che ti avvolgono come in un bozzolo di seta ... non mi piace esagerare ma mi succede!