The Ruby Suns
Sea Lion
Quando, l'anno scorso, ci si era trovati a recensire l'esordio omonimo dei Ruby Suns la reazione era stata moderatamente entusiasta. Moderatamente perchè, nonostante la prima prova dei Neo Zelandesi fosse disseminata di delizie pop irresistibili, l'ombra dell'influenza Wilsoniana ne aveva offuscato in parte la lucentezza, facendo spendere più di una volta l'odiato termine “derivativo”.
Per chi si fosse perso la prima puntata, i Ruby Suns si presentano, per molti versi, come una sorta di versione 2.0 di sua maestà Brian Wilson e dei suoi fidi “ragazzi da spiaggia”.
O meglio, si presentavano. Perchè, con questo Sea Lion, ai nostri riesce un'impresa inaspettata: quella di condurre le proprie influenze per mano lungo percorsi nuovi e traiettorie personali, traghettandole (sorpresa!) nelle acque della contaminazione con la world music.
Per uno di quegli strani meccanismi di coralità che da sempre scuotono le acque placide dell'indie rock, quasi che vi sia un impalpabile cospirazione comune, nell'anno in cui gruppi come Mahjongg, Yeasayer e Vampire Weekend spingono a parlare di matrimoni misti tra indie e world music, ineo zelandesi suggellano l'improbabile unione tra il consacrato verbo wilsoniano e inaspettate suggestioni afro-polinesiane (?), modulando allo stesso tempo in modi nuovi il fattore psych della loro musica.
Pare una follia, e probabilmente lo è, ma funziona: si ascoltino i saliscendi sonori accesi di bagliori psichedelici di Oh, Mojave o gli aromi polinesiani fusi alle chitarrine kenyote di Tane Nahuta. E si tratta solo dei due pezzi più appariscenti.
Blue Penguin, posta in apertura del disco, si avvia mantrica e si apre dopo un paio di minuti su meravigliosi scenari crepuscolari da cartolina californiana. There Are Birds è un pop sognante alla maniera di Yo La Tengo e Magnetic Fields che riesce ad evadere nel ritornello alla prigione circolare che si era pazientemente costruita. It's Mwangi In Front Of Me porta alle estreme conseguenze le sperimentazioni Wilsoniane creando una ieratica psichedelia in salsa dream.Ragazzi da spiaggia malinconici e pensosi passeggiano anche lungo l'elegiaca Remember.
Perchè, è bene chiarirlo, aldilà delle evoluzioni inaspettate e delle contaminazioni coraggiose gli antichi mentori restano una colonna portante nella musica dei Ruby Suns: che sembrano però essersi ormai impadronito del “Verbo” e si divertono a lanciare Wilson e compagni, come marionette impazzite, nell'inedita danza hawaiiana di Adventure Tour o a condurli lungo la gimcana sonora di Kenya Dig It ?: guidandoli lungo filastrocche irresistibili, spingendoli su scivolosi lastroni vintage, scaglandoli contro “muri di suono” spectoriani.
Quasi fuorviante la scura Morning Sun che chiude la nottata di bagordi con un inaspettato accesso di synht pop che manco i Depeche Mode rifatti da un gruppo Labrador, estrema ( e forse un po' stonata) prova di libertà creativa per un gruppo che mai avremmo pensato avremmo inserito un giorno nell'eterogeneo calderone “indie world”.
Con una ricetta tutta loro e un disco che già risulta tra i più interessanti di questo primo scorcio di 2008. E guai a chi, d'ora in avanti, userà la parola derivativo.
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