R Recensione

8/10

Toumani Diabaté

The Mande' Variations

Djeli in malinke vuol dire il sangue che scorre nelle vene. Se l’Africa mandengue fosse una persona noi saremmo il sangue di questa persona. Noi siamo gli ambasciatori della nostra cultura, siamo i guardiani della tradizione e della storia. Djeli si nasce, non lo si può diventare. Puoi essere un buon musicista, ma essere un djeli è un’altra cosa, e una questione legata alla famiglia e alla storia del mio popolo.

Da questo estratto di un discorso di Diabaté si capisce come sia pressochè impossibile parlare di The Mande Variations. Oh, non fraintendetemi, si possono fare tanti discorsi sull’antropologia, sull’artista, sulla cultura africana, sulla tradizione storica e via dicendo.

Si può ad esempio cominciare, riprendendo la dichiarazione ivi posta, col dire che Toumani Diabaté si identifica come l’ultimo suonatore di kora di una stirpe leggendaria che la tradizione farebbe partire all’incirca dal XIII° secolo.

E rispondendo agli sguardi perplessi si potrebbe spiegare che la kora è un tipico strumento africano, specie di arpa liuto a ventun corde antichissima, che di fatto può corrispondere per importanza e diffusione al pianoforte europeo.

Si potrebbe poi ricordare come Toumani sia un figlio d’arte e che non sia neanche un novellino uscito dal nulla, avendo già pubblicato oltre vent’anni fa un disco, Kaira, già suonato interamente con la kora.

Doveroso e politicamente corretto quindi tirar fuori una lunga lista di grandi musicisti che lo hanno anticipato nell’opera (Nyama Suso, Alhaji Bai, Foday Musa Suso, Lamine Kouyate, Ballake Sissoko, Mamadou Sidiki Diabate, Kaounding Sissoko, ecc.) provenienti da vari paesi centrafricani come Gambia, Senegal e Mali.

Quasi inevitabile poi sarebbe spiegare il motivo di innovazione di questo disco in cui Diabaté utilizza corde ricavate da arpe occidentali ottenendo suoni più puliti che vanno ad affiancarsi a  nuove accordature di sapore mistico-arabeggiante.

Infine emerge l’influenza di un modo di comporre tipicamente jazz-folk, improntato alla libera improvvisazione dell’artista, lasciato libero di far fluttuare note nell’aria senza strutture predefinite, uscendo in tal modo dai repertori della tradizione.

Volendo si potrebbe fare una meditazione sull’importanza dello scenario etnico-world in questo 2008, sia nei modelli autoctoni purosangue (le incantevoli opere di Rokia Traoré e Victor Démé) sia negli ibridi con il rock che hanno portato a risultati di rilievo (i vari Vampire Weekend, Mahjongg, Yeasayer e via dicendo).

Questo e tante altre cose si possono raccontare per parlare dell’ultima opera di Toumani Diabaté ma rimane il fatto che diventa davvero difficile per il sottoscritto riuscire a parlare dell’unica cosa che davvero conta: la musica. Vuoi per una deprecabile ignoranza stilistica, vuoi per un’incapacità di penetrare una cultura completamente diversa diventa infatti impossibile riuscire a catturare l’essenza di brani come Si Naani, Kaunding Cissoko, Cantelowes.

Impossibile perlomeno riuscire a trasmettere per iscritto sensazioni, ritmiche, influenze sonore, variazioni, tematiche. L’essenza la si coglie certo, ma solo di sfuggita, e l’incantevole grazia lirica di composizioni sincere come Elyne Road e Ali Farka Touré non fa altro che inebriare quello che forse è il cervello, l’anima o il cuore. È una musica che stordisce per quanto riesce ad essere primordiale, minimale e allo stesso tempo tremendamente piena e ricca. Incastri geometrici in un mondo privo di logiche matematiche ma in contatto con il divino, con il popolo, con il “sangue delle vene”. In un certo senso è folk africano, se la intendiamo tendenzialmente come musica popolare, e ciònonostante noi occidentali non esiteremmo a parlare di jazz, world, Steve Reich, John Fahey e altri WASP suonatori di chitarre semi-acustiche.

Eppure The Mande Variations è davvero molto di più, e spiace davvero non essere padroni di quello che appare come un mondo fatato, o forse solo più salutare. Un mondo di fatto di natura, tradizione e “semplice” arte spirituale. Un mondo che pare immensamente più vivo. Non resta altro che lasciarsi cullare dalle note e chiudere gli occhi. Amen.

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 4 voti.
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borguez 10/10
REBBY 6/10

C Commenti

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Paolo Nuzzi (ha votato 9 questo disco) alle 19:04 del 20 febbraio 2015 ha scritto:

E' un disco che mi ha stregato e continuerà a stregarmi. Poetico, sognante. Da ascoltare in cuffia, ad occhi chiusi, col favore delle tenebre, per poi volare su, su, in alto. Ottima scelta e complimenti