Universal Sex Arena
Abdita
Per quanto lo stereotipo della rockstar animale da palcoscenico mi sia parecchio distante, devo ammettere che gli Universal Sex Arena, dal vivo, sono un gran bel sentire. Non arriverò a definirli i Monotonix italiani, ma qualcosa degli istrionismi di Ami Shalev scorre sicuramente nelle vene del cantante Nicola Stefanato, alias Voiture Tempo: lo vedi salire sui banconi, immergersi tra il pubblico, portarsi a spasso il microfono, gigioneggiare tra i preparatissimi strumentisti, saltare e danzare a ritmo di musica, instancabile, la silhouette magra ed allampanata, come un incrocio impossibile tra lIguana e il Dennis Lyxzén dei tempi doro, mentre tuttattorno infuria un inarrestabile e travolgente baccanale garage-funk. Gioia per gli occhi, per le orecchie, per i piedi e per il culo. Peccato, cento volte peccato che questo luccicante biglietto da visita venga da sempre appannato da una produzione studio discontinua e frammentaria, non al livello delle esibizioni live e solo parzialmente rappresentativa dellessenza del sestetto veneto. Seppur indubbiamente migliore rispetto ai precedenti capitoli, anche il terzo Abdita non sfugge alla generalizzazione al ribasso.
Abdĭtus, participio aggettivale del predicato composto abdō, in latino aveva il significato di nascosto, remoto, rimosso e, per estensione, segreto, intimo (tutte accezioni composizionalmente ricavabili dalla giustapposizione del preverbo elativo ab con dō dare). LUnheimliche degli Universal Sex Arena, stanti tutte le sue connotazioni magico-rituali, è un generico Meridione idealizzato come culla primigenia e Urheimat tribale, uno stato mentale ancor prima che geografico dove, appunto, ogni cosa pur essendo illuminata è nascosta allo sguardo. Questo complesso ed affascinante concept, significativamente lontano dallipercinetico mood urbano del precedente Romancitysm, viene principalmente suggerito dallestensione indefinita del parco percussioni (mai così rilevante e significativo) e dalladozione di estrose timbriche chitarristiche, un pregevole sunto del neo-tropicalismo in salsa tricolore. È grazie a questa duplice innovazione che la band firma, in apertura, tre dei suoi migliori brani di sempre. Particolarmente riuscito è il kick off, con lelaborato riff mariachi del trascinante ragga-soul di Secret People accentato in maniera leggermente sbilenca: le geometrie al millimetro delle sezioni ritmica e chitarristica danzano poi il tango nella romanza spagnoleggiante di The Time Parlour, virando infine, in Horizon Of Barking Dogs, su di un intontito e dissonante mantra no(ise)-wave vagamente Liars (è uno dei tre pezzi in cui la batteria di Edoardo Pellizzari viene raddoppiata da quella di Luca Ferrari dei Verdena).
Una tripletta del genere autorizzerebbe luso a prescindere di superlativi, ma è proprio da qui in avanti che Abdita comincia a presentare le prime scollature: crepe sottili e tuttavia pervasive, causate principalmente dalla difficoltà di coniugare leterogeneità della proposta con leffettivo grado di coinvolgimento suscitato nellascoltatore. Gli Universal Sex Arena, rispetto al recente passato, tornano a scrivere canzoni vere e proprie, ma lorientamento stilistico, a tratti, oscilla ancora distintamente. Leclettismo diviene confusione nella possente drumnbass di One-Three, un lamentoso soul retrofuturistico con sovrastrutture à la Aucan, che avanza compatta ma insoluta: così anche gli interessanti vuoti industriali di Alongshore The River si trovano ad essere fuori contesto, mentre del tutto dispensabile è il roots-garage gitano di In Palermo You Cant Have Me (i Gogol Bordello formato Black Lips?). La cifra rock viene poi riaggiustata con autorità nella granitica Like Home (bello e riuscito lintervento di Elli De Mon al sitar) e riaffermata con enfasi nella doppietta finale, le scoppiettanti venature latin di Aetna e lindemoniato flamenco di Momentum (inconfondibile il tocco solista di Alberto Piccolo de Glincolti): eppure qualcosa sembra sempre non tornare, la quadratura mancare per questione di centimetri quelli assenti nella bizzarra cubatura urban-forro di Meridiem? , il discorso rimanere sospeso a tre quarti.
Levoluzione della band è percepibile ed apprezzabile, ma in Abdita più che di arrivo si respira ancora aria di tappa intermedia. Il prossimo giro lungo, con ogni probabilità, sarà dirimente.
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