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R Recensione

6,5/10

Wovenhand

Refractory Obdurate

Si parla sempre troppo poco di Dave Eugene Edwards, lo Ian Curtis della musica roots americana (diciamo uno Ian Curtis che non si è mai messo a contemplare il pavimento dell’obitorio di “Decades”, per recuperare invece una certa serenità).

I Sixteen Horsepower sono fra le realtà più elettrizzanti degli ultimi decenni (e mi riservo di approfondire in separata sede), ma c’è da dire che anche i Wovenhand (la sua seconda creatura) non sono troppo da meno.

Un po’ come Tom Waits o Nick Cave (in misura meno debordante in termini di genio, ma ecco senza esagerare), Dave riesce a conservare un’integrità artistica e una qualità media molto alta, di fatto, senza modificare troppo la propria formula: e anzi, sguazzandoci dentro come se nuotasse beato in piscina.

Non che gli album siano sempre sublimi, naturalmente. L’aura mistica e i sinistri bagliori di “Secret South”, o anche “solo” di “Woven Hand” (2002), non torneranno più: l’ispirazione da cantautore oscuro prestato all’umore torbido del blues sudista, o magari alle scatenate danze folk degli Appalachi, si è un po’ ridimensionata.

Tant’è vero che Dave, con “Refractory Obdurate”, prova a compensare il fisiologico calo rendendo le sue composizioni più aggressive, coniando una sorta di dark-country-noise sulla falsariga degli esperimenti underground degli anni ’80 (basti un ascolto distratto a “Corsicana Clip”, o anche alla profetica “Masonic Youth”, evidente omaggio al potere ipnotico del feedback sin dall’ispirato titolo), o magari tentando la strada di una vaga psichedelia.

La cifra stilistica di molti brani è sostanzialmente questa: Dave crea un groviglio noise sui generis per aprire nuove prospettive alle sue ballate. L’esperimento, tuttavia, riesce a metà, perché le cose migliori sono quelle più tradizionali.

Good Shepherd”, ad esempio, cavalca imperiale e strappata da possenti dosi di rumore, nella ricerca di un’epica grandiosità che riesce però solo a sfiorare.

Questo è il problema: il messia del Colorado non pubblicherà mai un disco brutto o del tutto deludente, ma questa volta sembra voler annebbiare l’ascoltatore anziché ammaliarlo (come invece gli è quasi sempre riuscito alla grande).

Le scintille liberate dalle chitarre e l’enfasi rumorista cercano forse di mimetizzare una qualità compositiva non sempre all’altezza: tant’è vero che Dave lascia davvero il segno quando torna sui suoi passi, progettando lugubri sermoni blues quasi degni di Nick Cave  (la bella “Salome”), o strimpellate rustiche che barcollano sull’orlo dell’abisso (“King David”, o la meravigliosamente anacronistica “Obdurate Obscura”, poema nero degno dei suoi momenti migliori) più che quando si inventa rocker spregiudicato (si pensi all’approssimativa “Field of Hedon”, che suona come un banale pezzo noise “temperato", o a "Hiss").

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Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 4 voti.
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REBBY 6,5/10

C Commenti

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nebraska82 (ha votato 7 questo disco) alle 10:40 del 15 settembre 2014 ha scritto:

Si', proprio un bel dischetto, DEE e' una garanzia: "Obdurate Obscura" sembra appartenere ai migliori Sixteen Horsepower.

robcon1971 (ha votato 8 questo disco) alle 17:24 del 16 settembre 2014 ha scritto:

Non sono assolutamente d'accordo con la recensione, il disco è un cambio di rotta totale a livello di suono: voce distorta dal primo all'ultimo brano, suona quasi come un disco dei tool, per me è un 8!

FrancescoB, autore, alle 18:30 del 16 settembre 2014 ha scritto:

Non condivido, cambio di rotta parziale e per me riuscito a metà.

NathanAdler77 (ha votato 8 questo disco) alle 21:39 del 13 ottobre 2014 ha scritto:

Al settimo sigillo Wovenhand il "buon pastore" Edwards è sempre più il paradigma sonico di se stesso: un assalto gothic-blues potente, coeso e oscuro che riesce a mediare la furia heavy biblica del precedente "The Laughing Stalk" con il folk arcano di "The Threshingfloor". Brani come "Corsicana Clip" (con sintomatica citazione SY), "Good Shepherd" (Echo & The Bunnymen trasfigurati noise) e l'outro "El-Bow" (qualcosa come i Dead Can Dance disidratati nel deserto del Mojave, più o meno) oggigiorno può autografarli solo il predicatore di Englewood.

FrancescoB, autore, alle 9:41 del 14 ottobre 2014 ha scritto:

Ottime considerazioni le tue Nath, solo che io (forse perché troppo legato ai capolavori dei 16 Horsepower, o al debutto dei Wovenhand, altra gemma di valore assoluto) non riesco a impressionarmi troppo davanti a questo pur valido lavoro.

REBBY (ha votato 6,5 questo disco) alle 13:11 del 25 marzo 2015 ha scritto:

Ecco uno in controtendenza: invecchiando alza i volumi degli amplificatori (che stia diventando sordo eheh), sarà contento Vito!

A me sembra molto simile al precedente. King David la mia preferita.