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R Recensione

7,5/10

Eric Mingus

Um...Er...Uh...

Eric Mingus è la versione sbiancata del padre, e questo significa che non è esattamente un ragazzo filiforme. E' un valido musicista, però. Ed evita di rincorrere il genio del vecchio sullo stesso terreno.

Anche Eric si è formato respirando jazz, le liturgie della chiesa afromericana, il blues. Ha studiato le complesse partiture orchestrali e i lussureggianti arrangiamenti assemblati da Charles per le sue band futuriste, ma poi è andato per la propria strada. Lo separano da Charles non solo alcuni decenni di vita, ma anche tanto funk, tanto rock e tantissimo hip hop. La cosa si sente.

"Um...Er...Uh..."cita meravigliosamnte "Mingus Ah Um" nel titolo, ma si incammina lungo percorsi diversi, pur vedendo spesso il leader al contrabbasso.

Più che all'inarrivabile padre, Eric assomiglia a Gil-Scott Heron: il suo discorso musicale si costruisce sul blues, sulla spoken poetry. Le sue invettive hip hop blueseggianti sono immerse dentro paesaggi sonori creativi che rubano idee al jazz e al funk. Il testo diventa parte essenziale della composizione, mentre le ricche sfumature degli strumenti a fiato, la sordina wah-wah, le armonie spezzate e sventrate restano concetti piuttosto lontani.

Il suo sangue è dentro di me: percussioni tribali e soffuse, atmosfera da gospel music per fantasmi, note sparse dei fiati. La voce di Eric è poverissima, dal punto di vista tecnico, ma si infiltra sorniona fra le maglie dei pezzi e non delude praticamente mai.

Tanti anni di rock, dicevo: "Robber Soles" è un altro evidente omaggio nel tiolo, ed è soprattutto un fiammante esempio del jazz rock di Eric, con i sassofoni che si rincorrono a perdifiato, il ritmo incalzante, gli arrangiamenti possenti. "I Reject this Reality" è Eric in versione rivoluzionaria, che ruba all'hip hop la poetica sferzante, il pugno chiuso, i proclami urgenti. La chitarra è funkadelica, le percussioni sono 4/4 smembrato, la produzione moderna amplifica l'eco dei vari strumenti. Nel frattempo, Eric dimostra di sapere gridare, all'occorrenza.

Nel 2000 Jaky Byard (sassofonista, compositore, personaggio di spicco della scena jazz che mette lo zampino dentro "The Black Saint and the Sinner Lady") è scomparso da poco. Eric lo saluta con gratitudine e un pizzico di commozione, il suo è un breve commiato degno dei Last Poets.

Le atmosfere fumose e notturne di "Lay-Z", "Time" o "Lazy" sono chiaramente ricalcate sugli esperimenti full-black di Gil Scott Heron, e pur se non sempre scorrevoli (Eric in alcuni momenti parla e basta), sono degnissime rivisitazioni delle idee del maestro. Culturalmente l'autore non ci sta a piegare la schiena, a trasfomarsi in un Signor Sì: sono passati tanti anni dalle lotte del padre, ma è ancora giusto ricordare che bisogna rifiutare di essere "slaves". "Sparks" aggiunge beat elettronici soffusi e procede oscura, bisbigliata. "Shake up the World" è innodica, "Didn't I blow your mind" evoca invece atmosfere degne dei Morphine, con chitarra e sassofono che regalano un fascino oscuro, con una performance vocale efficacissima e grintosa.

Ecco, Eric fa sempre la sua cosa con tutta la grinta di cui è capace. Forse non passerà alla storia come un genio, di certo non sarà mai accostato al vecchio e quando ci lascerà gli Dei non spediranno 56 balene sulla spiaggia, per omaggiare la balena cinquantaseienne che se ne va. Ciò però non toglie che "Um...Er...Uh.." sia uno dei lasciati maggiori della musica nera nel decennio zero.

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Voto degli utenti: 3,5/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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stefacolli (ha votato 3,5 questo disco) alle 23:36 del 12 febbraio 2014 ha scritto:

Amo il jazz, e quello di Mingus padre, era al limite della mia sopportazione e a tratti meraviglioso. Ma questo brano in cui sento la sgradevole voce di Mingus figlio, proprio non riesco a dargli la sufficienza. Mi dispiace. Saluti a tutti.