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R Recensione

7/10

Milo

A Toothpaste Suburb

2014, ovvero l’anno in cui l’hip hop alternativo lascia tutta la concorrenza indietro di un paio di giri.

Da un bel po’ di tempo non trovavo tanti dischi in grado di invogliarmi subito al secondo ascolto, specie in questo contesto, impalpabile per definizione.

Intendiamoci, è una vita che ascoltiamo lavori abstract hip hop, ma ecco, io spesso ho avuto l’impressione che si pubblicasse sempre lo stesso disco.

Invece, il 2014 in tale prospettiva è una bomba.

Fra la policromia degli Young Fathers (quasi gli Associates dell’hip hop, vista la provenienza e la prospettiva obliqua) e la malinconia suburbana di Open Mike Eagle (senza dimenticare i più bravi del loto: Shabazz Palaces), ecco spuntare un debutto coraggioso e spinto, che porta la firma del giovanissimo Milo (classe 1992), talento emergente della West Coast.

La prima impressione spesso è quella che conta: e Milo, oltre a dimostrare subito che l’hip hop può confrontarsi vis à vis con la cultura seria (le citazione di Arthur Schopenauer), si dimostra  - da buon quasi teenager – un ragazzo introspettivo e profondo, dotato pure di una certa dimestichezza con la tecnologia.

Le sue mani tessono ambienti sonori saturi e pregni, il suo è hip hop quasi più digitale che puramente astratto. Geometrico ma convulso, in perenne fibrillazione: impastato come il dentifricio del titolo.

La produzione sembra in cerca di spazio: questa è una sorta di post-psichedelia che viaggia fra spasmi “electroplasmatici” e riverberi sfavillanti, costantemente inquieta.

Come altri lavori nel settore, poi, Milo e i produttori usano il rumore come mezzo creativo, e finiscono per creare affreschi splendidamente confusi: il risultato è uno stratificato videogame che ti cattura grazie a mille effetti sonici, con brani in media (anche se non sempre) brillanti.

Quando trova l’andatura, insomma, il ragazzino dimostra di saperci fare per davvero anche in termini di “songrwriting”, e non solo come ideatore di originali ambienti sonori.

Ad esempio, colpiscono l’eco “ostinata” e le sonorità in picchiata di "Fragrant Pee Farts" (che forse - amaramente - parodizza nientepopodimenoche che le scorregge), i puzzle in continuo movimento di “Ought Implies Can and I Cannot” o del brano introduttivo, veri e propri paradigmi di questo stile mutante; e poi l’eco dolce delle tastiere “liquide” in “You Are Go(o)d to me”, dove scoviamo forse l’intuizione melodica più bella del disco, o i drammatici cambi di passo di “Just Us”, forse il pezzo migliore in assluto.

I vari featuring aggiungono un po’ di sostanza (riusciti in particolare quelli di Open Mike Eagle, ma danno il proprio contributo vari commilitoni della Hellfyre’s Club).

Concludo: lavoro decisamente meritevole, in grado di crescere passo dopo passo, saturo di piccole invenzioni e di buon impatto lirico. Questo è hip hop astratto ma forse, più che altro, è hip hop intelligente, "compresso" nelle sonorità ma in continua evoluzione.

Milo quindi è promosso, ora si iscriva all’Università e ci dimostri cosa vuole fare da grande.

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Cas alle 10:26 del 7 ottobre 2014 ha scritto:

Sottoscrivo in pieno i primi due paragrafetti: se questo 2014 non è stato all'insegna dell'hip hop, poco ci manca. Sono al secondo ascolto e si viaggia che è un piacere: Milo (che ha prodotto molti Ep, prima di questo approdo al long playing) è un altro fantasista, per approccio -il flow non è poi così free, mentre le basi raggiungono vertici onirici notevoli- molto vicino a Open Mike Eagle. Leftfield hip hop densissimo, colorato, di qualità. Ci ripasserò sicuramente.