Harry Nilsson
Nilsson Schmilsson
Almeno due brani rendono Harry Nilsson arcinoto presso il pubblico generalista italiano.
Il primo è Everybody's talkin' (scritto da Fred Neil, contiene i meravigliosi versi dont hear a word theyre saying/ only the echoes of my mind), il secondo è la sua versione della ballata romantica dei Badfinger Without You, che sarà resa ancora più celebre dall'intepretazione di Mariah Carey.
Without You è anche il brano più noto e certo fra i migliori di Nillson Schmilsson, per chi scrive il capolavoro del cantautore newyorkese, pubblicato nel 1971.
Capolavoro per ragioni molto semplici: Nilsson Schmilsson trova un equilibrio particolare, perché media fra le istanze del pop-rock più raffinato e la dimensione autoriflessiva della canzone d'autore. Nilsson è un po' Elton John e un po' Jackson Browne, o se vogliamo collega John Lennon a Randy Newman, e magari prefigura alcune delle intuizioni del Paul Westerberg o del Ryan Adams più romantici, iniettando un pochino di rock'n'roll fra le trame dei suoi brani.
Nilsson in questo caso è anche e soprattutto un autore memorabile, perché la differenza la fa come di consueto la qualità dei pezzi. Qui non si sbaglia nulla: l'enfasi melodrammatica della citata Without You è ancora oggi un pugno nello stomaco che miracolosamente riesce a conquistare l'apprezzamento della gente del pop. Jump Into The Fire è un blues rock che strizza l'occhio agli Stones e alla tradizione hard britannica, reggendo bene per sette minuti buoni di durata.
Gotta Get Up è pop-rock articolato e gradevolissimo, un po' Lennon e un po' Randy Newman; Driving Alone si colloca sulla medesima linea evolutiva, forte di strofa e ritornello freschissimi, esattamente come la cover di Let the Good Times Roll. Coconut, forse la ballata più originale, è invece eccentrica e bislacca, e bilancia il romanticismo imperante dell'opera.
Le altre ballate regalano i momenti più intensi e personali: la pianistica I'll Never Leave You è struggente ma non delfagra, e potrebbe essere uscita dalla penna di un Jackson Browne un po' più stralunato del solito. The Moonbeam Song, nonostante cerve svenevolezze, disegna l'ennesimo refrain impeccabile, rifugiandosi nell'intimismo.
Meno coraggioso e sperimentale di altri autori contemporanei, Nilsson rimedia ampiamente con la qualità compositiva e con il puro piacere dell'ascolto, e questo album è la summa delle sue qualità autorali.
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