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R Recensione

7/10

Claudio Signorile

A Song 4 Each Day...

Quando mi trovo ad incrociare le armi con un disco italiano, anche se “alternativo”, un timore mi assale: sarà la solita solfa?

Sì perché l'impressione, quando si parla dello stivale, è sempre quella: poca originalità, nessuna voglia di osare, scarsa personalità.

Pare che tutti o quasi vogliano distendersi fra due guanciali, senza correre rischi che non siano perfettamente calcolati: e questo, ahimè, vale non solo per il pallidissimo mainstream che tortura i nostri timpani oramai da tempo immemore (che qualcuno maledica le fabbriche di mostri della nostra tv), ma anche per la musica indie o alternativa che dir si voglia, che molto raramente abbandona il recinto delle proprie certezze (per quanto si tratti di certezze “indie”) e prova a stupire.

Ecco, fatta la doverosa premessa, posso sgombrare il campo da ogni sospetto: Claudio Sebastiano Signorile, bassista classe 1977 di stanza a Bari, è un artista che prova a dire qualcosa di personale, senza scadere nella retorica e senza adagiarsi sugli eterni spunti del mondo di ieri.

E “A Song 4 each day...”, suo EP di debutto, è lavoro che merita più di un ascolto: perché consente al bravo musicista pugliese, che ci ha lavorato quattro anni, di mettere in mostra tutto il proprio talento. Di compositore, di strumentista, ed anche di produttore: è infatti notevole e certosino il lavoro del nostro con loop, synth e campionatori, che aggiungono molto colore alle trame strumentali.

Signorile è un bassista giovane ma già con una storia: ha preso parte ad una decina buona di festival e concorsi internazionali dedicati al basso elettrico, con tanto di strizzatine al mondo del jazz più evoluto.

E tutto ciò si sente: l'introduttiva “Inspiration”, per dire, è il discorso di un basso corposo, voluminoso e sapiente che riporta alla memoria (inevitabilmente) i grandi bassisti new wave. Ma è anche virtuosismo ricco di colore e sapore, che non deborda ed anzi, a tratti, incanta. Niente male anche il secondo pezzo dell'EP (“Clenching”), altro strumentale discretamente coraggioso e di buon impatto melodico, ove le basi elettroniche non disdegnano tappeti simil-ambientali e la batteria si lancia in spazzolate schiumose che profumano di jazz.

Melodic Bass Solo” è un altro pezzo notevole: pare quasi di vedere John Fahey prestato al basso e catapultato fra le oscurità malinconiche della new wave, tanto il fraseggio è ricco e ricercato. Roba da palatini fini, insomma.

I pezzi conclusivi sono leggermente più convenzionali, ma restano interessanti: la title-track, per dire, è folk-rock sbarazzino ed a tratti spumeggiante, in cui il basso del nostro si veste ancora da “voce solista” del disco, senza rischiare di annoiare.

Non c'è che dire: lavoro personale ed a suo modo coraggioso, ricercato ma che riesce a non risultare troppo “impegnativo”. Indi provatelo, ne vale la pena.

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