A God is an Astronaut - Live Report

God is an Astronaut - Live Report

God is an Astronaut + Junius + Lili Refrain @ Roma, Circolo degli Artisti, 26/05/2010

La trama del postrock è cosa nota: chitarre vestite da pianoforti, percussioni piccate ora quadrate ora frenetiche, strati sonori accomodanti, chiaroscuri timbrici e di struttura. Qualche voce ogni tanto, ma senza esagerare che altrimenti i puristi dello strumentale si accigliano. Un po’ di frenesia nelle code, un po’ di incedere sludge nel corpo dei brani, ma senza sconfinare nel metal altrimenti le frangette si spettinano.

Lungi dall’esser stato disatteso, il copione di questa serata romana ha comunque previsto una tripla performance assolutamente convincente e di qualità: si dividono il palco Lili Refrain, Junius  e gli headliner God is an Astronaut.

La chitarrista, armata solo di strumento e loopstation, regala un intro all’insegna del rumor bianco e della distorsione, scaldando veementemente la platea con un’energia ed una personalità a stento contenute nel locale.

Di lì a poco è il momento di Junius: la band statunitense, supporto per gli artisti di cartello nella loro tourneé, sono un progetto di meritato interesse nel panorama di appartenenza; il loro sound rielabora gli elementi propri del postrock e del metal più crepuscolare [Katatonia, Anathema, Isis], condendo gli elementi con una voce baritona che fa eco ai celebri compagni di registro Smith e Curtis, ottenendo così discreta originalità - qualità assai rara oramai nel terreno del dopo-rock.

Purtroppo l’acustica si rivela rude con loro, e le timbriche risultano molto penalizzate rispetto al disco, specie quelle vocali; se riusciranno a mantenere il medesimo livello nelle produzioni successive, presto saranno loro stessi a doversi trovare dei gregari per le prossime performance nel continente

Ad un anno preciso dalla loro ultima esibizione in suolo capitolino, è di nuovo ribalta per il trio irlandese, ancora una volta qui a ricordare la natura cosmonautica del divino: l’imponente parete sonora è accompagnata da un muro di luce costituito da quattro ideali colonne, a rendere totalmente sinestetica l’esperienza.

Il gruppo esordisce con materiale tratto dalla loro ultima fatica discografica, ma saprà spaziare attraverso tutto il proprio catalogo per una prova davvero omogenea e brillante, senza l’ombra di un punto morto o di un momento di autocelebrazione.

Si passa così dalle atmosfere più canoniche di Suicide by a star e Forever Lost, agli arrangiamenti più energici di Snowfall ed Echoes, ai richiami elettronici di Route 666 e From Dust to the Beyond, al momento di massima tensione di tutto il concerto, individuabile in Zodiac - qui presentata in veste leggermente estesa; qualora negli anni i fratelli Kinsella e socio [Lloyd Hanney] si fossero lanciati in sinfonie degne del gruppo con cui condividono la radice semantica, sarebbero risultati di certo noiosi al loro cospetto: loro hanno invece saputo raggiungere un equilibrio sonoro e strutturale notevole, che conferisce ai loro lavori freschezza e bagliore senza mai annoiare né ricorrere ad espedienti talvolta abusati nel genere, quali l’utilizzo di strumenti orchestrali.

Fotoni ed onde sonore continuano ad irradiare in sinergia la platea divisa tra estasi composta e delirio di movimento; c’è tempo per un encore assolutamente dovuto, alla luce del calore restituito ai musicisti - ultimo regalo è Fire Flies and Empty Skies, motivo ammaliante che difficilmente avrà abbandonato la mente dei tantissimi presenti ad uno degli appuntamenti più attesi e riusciti della stagione: della natura di Dio non ci è dato sapere, ma se esiste di sicuro è un Astronauta.

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skyreader alle 17:16 del 28 maggio 2010 ha scritto:

God COULD BE An Astronaut!

Ogni concerto dei God Is An Astronaut sta diventanto, almeno nella Capitale, un vero e proprio evento, capace di travalicare anche l’aspetto del raduno di post-rockettari giacca in giacca+jeans+occhialoni da vista con la montatura vistosa. In poco tempo gli irlandesi GIAA, senza capire bene come vista l’esigua distribuzione della loro label casalinga (la Revive Records), sono divenuti abbastanza noti, da una parte conquistando consensi per quella loro schietta rielaborazione di conoslidati stilemi (cliché) post, ma anche per le loro indubbie doti nel saper realizzare suggestive melodie, forse non troppo complesse, ma efficaci ed essenziali, senza puntare sull’epicità e pur essendo tecnicamente validissimi, ripudiando ogni virtuosismo.

Va bene si possono anche continuare a citare i soliti Mogwai, i soliti Explosions in the Sky, i Do Make Say Think, i Red Sparowes, ma l’eleganza composta dei GIAA ha una sua identità specifica.

Ben ha reso la suggestione della serata ("fra compostezza e delirio") il bravo Diego Caponera. Andrebbe forse sottolineata la valenza dei nuovi brani (su tutti la title track e “In The Distance Fading”), scelti fra quelli più potenti, lasciando nella faretra (peccato) perle dark-ambient come “Dark Rift” o “Shining Through”. Concordo pienamente come i punti cruciali del concerto siano coincisi con gli estratti dal penultimo "God Is An Astronaut" del 2008. Una vampata emozionale è stata sicuramente innescata da "Far From Refuge", tratta dall'omonimo lavoro del 2007, con quell'arpeggio che non può non richiamare alla mente una certa "Haunted By A Freak".

Ma alla fine, vederli in trio sul palco, alle prese con un materiale sonoro fatto di cyber-psichedelic-hard-rock-progressivo lo sapete quale band più di tutte mi è tornata metaforicamente alla mente in più passaggi? I RUSH porca miseria... Magari quelli della fase synth-prog degli Anni ’80, ma proprio loro! I GIAA non me ne vorranno per questo, forse azzardato, paragone.

Un gruppo capace di misurarsi e di saper optare per delicati equilibri: questo sono i GIAA. Altri gruppi con la metà del loro potenziale esplosivo avrebbero potuto dar vita ad un concerto di coattaggine schitarrante. Ma loro no: ordine prima del caos, armonia sopra l’impatto. I loro effetti speciali sono solo visivi (veramente notevole il loro light-show): nella musica, che potrà o meno fare per voi, non ingannano. Sono quello che sono. In studio come dal vivo.

Se Dio fosse un’astronauta, i GIAA potrebbero essere ingaggiati per curare le colonne sonore dei Suoi viaggi.

Stefano Fasti

moonwave99, autore, alle 19:21 del 28 maggio 2010 ha scritto:

RE: God COULD BE An Astronaut!

Ciao Stefano,

grazie del commento Mi trovi d'accordo su tutta la linea - non ho citato i nuovi brani perché non ricordavo i titoli, lo ammetto , e anche perché devo ancora digerire il disco e non sento di potermi sbilanciare ancora.

Assolutamente Dark Rift è uno dei temi più riusciti, ma avrebbe definito alla perfezione uno dei momenti autocelebrativi che ho indicato, visto lo scarso appeal che può avere dal vivo a mio parere.

I god hanno capito la formuletta - temi semplici e catchy, suonati in maniera pulita in modo da restar ben impressi, il tutto attingendo ampiamente agli stilemi canonici del genere.

Su disco funzionano, dal vivo funzionano ancor di più - essenzialità e concretezze sono virtù rara in questo inizio millennio di frangette e chitarrine.

My '70 cents,

Diego