V Video

R Recensione

7/10

God Is An Astronaut

Age Of The Fifth Sun

Molti aspettavano al varco il trio irlandese. A due anni dal precedente omonimo album e ad otto dal sorprendente esordio del 2002 (The End Of The Beginning), si è venuto a creare uno spartiacque fra i fan: da un lato quelli della prima ora, invaghiti dall’ordinata e garbata coniugazione del verbo post-rock, sospesa fra una sottile elettronica e una carica emotiva (mai del tutto esplosa), senza una definitiva frattura delle regole del gioco (ossia continuando a gravitare attorno al pianeta Mogwai), dall’altra gli estimatori della vigorosa virata verso il rock psichedelico di God Is An Astronaut (2008).

Come si pone, dunque, il nuovo opus, ovviamente anch’esso interamente strumentale? Semplice, cerca di individuare sulla mappa una via mediana fra i due approcci, recuperando l’eredità di due ottimi lavori come All Is Violent, All is Bright (2005) e Far From Refuge (2007), ascrivibili però a stilemi più imbrigliati, e infondendole tutto l’impeto che personalmente me li aveva fatti definitivamente amare nel penultimo album. Si recuperano molti dei momenti elettronicamente meditabondi che in parte erano stati accantonati di recente, cercando di intersecarli con le traiettorie spiraleggianti di schegge poco post e molto, molto rock: fra gli ibridi che ne vengono fuori sono da segnalare tanto la fantasmagorica In the Distance Fading quanto la sussultoria Parallel Highway. Ma forse la perfetta sintesi fra questi due approcci risiede proprio nella smagliante title track, sanguigna e spirituale allo stesso tempo, luminosa e oscura fino al midollo.

Ho usato l’aggettivo spirituale: penso che questa sia davvero una delle chiavi di lettura per intraprendere la lettura degli altri brani che danno vita a questo lavoro dal sangue misto. Le atmosfere si dilatano, seppure rese sempre vive da una inquietudine di fondo: dagli ultimi tre minuti dell’iniziale Worlds In Collision scaturisce questa concezione di immanente, intimissimo cosmo che echeggia nella increspata malinconia di Shining Through e che trova il suo centro di gravità nella sublime Dark Rift. Il congedo è ancora altissimo o forse solo adimensionale: Paradise Remains ci abbandona, un po’ inebetiti, in questo vuoto prospettico.

Quale forza prevale pertanto in Age Of The Fifth Sun? Quella densamente estatica o quella elettricamente tellurica? Questo album non risolve il dilemma. O meglio, questo album non vuole risolvere il dilemma. Sembra la colonna sonora di un viaggio, tesa a descrivere tanto il movimento quanto la sosta. Certo, francamente sento la mancanza di brani come Shadows, Echoes o Loss animatamente presenti in God Is An Astronaut. Tuttavia negli anni ho imparato a non aspettarmi che i tanti artisti che seguo vadano esattamente nella stessa direzione della mia testa e del mio sentire. Non avrei più sorprese e nulla mi farebbe più saltare sulla sedia. In questo momento, quello che desidero dai God Is An Astronaut è che nelle imminenti date italiane (26 Maggio a Roma, Circolo degli Artisti, il 27 a Torino, Spazio 211, il 23 ad Arezzo, Karemanski), si presentino nella smagliante forma che finora li ha contraddistinti, capaci in tre di tirare su una struttura sonora che ad altri non basterebbero sei elementi e sapendo tenere vivo il palco come pochi altri nel contesto post-rock. I loro live-show (curati sotto tutti i punti di vista) potrebbero essere il porto ideale per approdare sul loro fluido terreno musicale.

L’era del quinto sole è quella che, secondo il calendario Maya, finisce il 21 Dicembre 2012. Il quinto sole, secondo il ciclo della formazione di Glen Of The Downs, è quello rappresentato da questo quinto album. Che con questo titolo abbiano voluto indicarci la loro intenzione di chiudere una fase della loro vicenda artistica? Speriamo di non dover attendere il 21 Dicembre 2012 per scoprirlo…

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
motek 7,5/10

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Filippo Maradei alle 20:19 del 18 maggio 2010 ha scritto:

E se fosse l'era del quinto sole proprio per il post-rock? "Prevedibilità" non è la parola esatta, ma è la prima che mi viene in mente...

Senza nulla togliere alla recensione eh, godibilissima

skyreader, autore, alle 15:47 del 19 maggio 2010 ha scritto:

Garda io su tutta la storia (evoluzione/involuzione) del post-rock, penso di essere abbastanza "conscio" ed il mio, con il senno di poi (da ormai molti anni), è alla fine uno sguardo abbastanza desolato e di certo non ingenuo. Ma un analogo sguardo ce l'ho anche su altri generi musicali che dopo pochi anni hanno bruscamente ripegato su loro stessi, più che altro a causa dell'esponenziale crescita di band che hanno ripetutamente clonato (in buona fede o no) suggestioni e partiture. Ciò non toglie che alcune formazioni, anche in piena fase di ripiegamento del genere di riferimento, siano riusciti a creare ancora pagine degne di nota o comunque maggiormente focalizzate e ispirate. Senza togliere nulla al contesto di ridotta incidenza nella "storia della musica". ..."Age Of The Fifth Sun" è un disco che non sconvolge regole, ma è veramente ben fatto e godibile, pur in piena fase di post-post-post-rock generalizzata. Il precedente album del 2008 mi continua violentemente a ronzare in testa per la sua irruenza rock: questo nuovo agisce sottotraccia, oscuramente. Tu hai provato almeno a sentire l'omonimo lavoro di due anni fa?

tarantula (ha votato 7 questo disco) alle 8:57 del 22 maggio 2010 ha scritto:

Prevedibile forse sì ma , alcuni passaggi emozionano non poco: prendete "Lost kingdom", ad esempio, nella sua circolarità crea un'ipnosi estatica e sgombra l'anima da ogni pensiero maligno riportando il sentimento alla sua origine di purezza. Avrei eliminato le tracce troppo statiche non in quanto brutte ma perché le due forze che animano il disco (come ben sottolineato nella recensione) trovano già il perfetto equilibrio nei brani più elettrici che sono sempre inframezzati da momenti meditativi come nella fragorosa apertura di "Worlds in collision".

Filippo Maradei alle 10:14 del 22 maggio 2010 ha scritto:

Ma il problema del post-rock, di una parte del post-rock di oggi, è proprio questo: scivola sulla pelle, senza fastidio, senza sorpresa, senza stupore, e si lascia ascoltare ma non "riascoltare".

E' un discorso un po' bastardo, scontato se vogliamo, eppure non riesco a vederci altro nel dopo-rock se non un semplice "riempitivo sonoro" di giornate statiche. Comunque no, l'omonimo è l'unico lavoro che mi manca della loro discografia; se me lo consigli, vedo di procurarmelo