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R Recensione

7/10

Kerretta

Saansilo

Ogni recensione si propone di tradurre in parole un significato che solo l'approccio diretto alla musica può trasmettere nell'unica verità possibile. E dunque il recensore ha di fatto l'ambizione di descrivere un panorama sonoro, con la presunzione talvolta di sostituirsi all'ascolto (qualora il lettore dovesse decidere che è stato sufficiente il racconto per evitare di intraprendere il "viaggio"), talvolta di far scattare quella curiosità propedeutica al toccare con mano una realtà (ossia quando fra chi legge e chi scrive si instaura una fiducia basata "sulla parola"). Tuttavia in qualche circostanza si attua quel processo descrittivo che, sebbene funzionale a divulgare musica in una modalità sempre più orgogliosamente desueta visti i mezzi di preascolto offerti legalmente o illegalmente dalla rete, spesso ancora urta la sensibilità degli artisti sempre poco inclini a sentirsi etichettati (taggati?) ed accostati ad altri. Credendo ancora nella funzione della critica, specialmente quando questa si concede il buon gusto e la capacità di saper guardare già in prospettiva il presente, mi ritrovo ancora a provare a spiegare cosa mi gira nelle orecchie a chi probabilmente crede che farebbe prima a prendere il nome dell'album per scaricarselo e giudicare da solo.

Sperando almeno che, in caso di apprezzamento, segua l'acquisto del disco, in qualsiasi suo formato, e una implicita gratitudine, anche inespressa, nei confronti di chi ha permesso la scoperta di una (indie) band, concedendole un po' di sana evidenza. Non sempre fa piacere (neppure a chi scrive), questo continuo ricorso ad aggettivi, metafore, accostamenti. Ma come fare a raccontare ad esempio la proposta dei tre neozelandesi Kerretta, così rigorosamente strumentale e per certi versi affine alle intuizioni post-metal degli Isis? Primo inganno per il narratore musicale: la geografia dei Kerretta non è riconducibile né a territori post-rock, né tantomeno a quelli metal: qui la maestosità strumentale non rimane irretita nello schema crescendo-decrescendo o della sequenza piano-forte-piano e neppure la potenza si mostra attraverso muri di chitarre lancinanti. Semmai la tendenza è quella di far propria la lezione del progressive, svuotandone le velleità romantiche e l'immaginario fiabesco e accettando l'offerta formativa dei canadesi Rush (i padrini di ogni power-trio): il risultato è costruito attorno alla coesione dei tre, partendo dal vertiginoso procedere di un basso dalle timbriche profondissime e avviluppando attorno ad esso talvolta degli arpeggi spiraleggianti di chitarra, talvolta dei maestosi riff per nulla riconducibili alla sfera dell'hard-rock o del metal, mentre la batteria è in grado tanto di lasciarsi trasportare dal ritmo imposto dall'interplay fra gli altri due strumenti, quanto di condurre autorevolmente le danze con spigolature matematiche. Il rimando alle poderose ipotesi già concretizzate dai Russian Circles, è evidente e corre in aiuto del recensore. Laddove l'atmosfera è attraversata da venti psichedelici, da liquidi passaggi e da flussi sonori ricchi di suggestioni visive, sono invece i God Is An Astronaut a illuminare queste latitudini.

In qualche frangente il gruppo non si fa remore di inserire parti di synth che arricchiscono la trama generale: Bloodlines è uno dei momenti cruciali del lavoro, e riesce ad assestare una vibrazione elettro-propulsiva che riporta alla mente addirittura i Simple Minds di "New Gold Dream". Assieme a A Way To Uprise, By The ThroatsSheperds Thread e la conclusiva Onyxia fornisce le coordinate per provare a sviluppare la cartografia di "Saansilo", che si staglia come uno fra i più avvincenti album rilasciati in questo 2011. Onyxia in particolare contiene tutte le caratteristiche attribuibili ai Kerretta e ha uno spessore tale da evidenziare il focus della loro matassa sonora: prog-math-rock-psichedelico? E' funzionale al lettore l'invenzione di un termine ad hoc per districarsi in mezzo al fiume di parole? No, in verità, non lo è. Ma rispondendo ad una sorta di intossicazione da scintillii musicali, il recensore rimane inesorabilmente affascinato dall'ondeggiare della miriade di fili luminosi che qualche istrionico ragno malevolo ha tessuto nel suo cervello e che vibrano ad ogni singola nota che li sfiora, generando una turbinosa quanto inesatta mescolanza di sensazioni e visioni, a cui egli ritiene di dar conto. Pur attraverso definizioni improbabili. Certamente provando a dipingere nel modo più nitido possibile, una meticolosa ma quanto mai transitoria messa a fuoco di inesattezze. E qui giace la frustrazione di base a cui si è accennato all'inizio: a nessuna nota è sostituibile alcuna parola. E così a chi legge è proposta questa inaudita esperienza di viaggio parallelo, di viaggio sinestetico fra una realtà raccontata e una vissuta direttamente. C'è chi continua a credere che da questa esperienza se ne possa uscire arricchiti. Illusione o realtà?  

E in uno smarrimento

La mia lingua dirà

Ciò che mente non aveva mai concepito

Né la memoria aveva riposto.

Quel che mai saprò

Devo render noto.

Dove viaggiatore mai passò

Sta il mio dominio.

Diletta liberazione dal corpo

Per cui son rivelate

Le forme che vanno e vengono

E si trasformano.

Se il pensiero rubasse

Una parola del mistero

Tutto sarebbe falso...”  

Edwin Muir, “The Poet

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