A L'ultima ossessione di Charlie Parker

L'ultima ossessione di Charlie Parker

In una gelida giornata invernale del 1955, un uomo, dall’aspetto poco rassicurante, si aggira per il Central Park e barcollando giunge nei pressi di una panchina. Qui, dopo una breve conversazione, affida a una graziosaragazza francese un pacco che portava sempre con sé. Wayne Shorter di sicuro sobbalzò sulla sedia quando la governante di Art Blakey (la donna del parco) gli consegnò il curioso involucro e, apertolo, scoprì che era appartenuto a Charlie Parker. Il contenuto: un disco di Marcel Mule, grande sassofonista “classico”, un libro tedesco di esercizi per violino e uno spartito autografo inedito.

L’incontro fra Parker e la musica classica avviene nel 1939, precisamente con Bach: Bird utilizzava alcuni brani del compositore tedesco come patterns, purtroppo non si conoscono le opere di riferimento.  Cinque anni più tardi si ritrova ad abitare con un giovane Miles Davis. In questo periodo, non solo familiarizza con la scrittura bachiana assieme al trombettista , ma si esercita anche sul repertorio colto per sassofono, come la Rhapsodie di Debussy e la trascrizione del Piece en forme de Habanera di Ravel. Tuttavia questo nuovo mondo per lui non è ancora fonte di vera ispirazione artistica: Bird si limita a prendere qualche spunto ma nulla più.

 

Parigi, maggio 1949, uno speranzoso Charlie Parker mette piede in Europa, invitato al Festival locale di Jazz. Qui, al contrario che negli Stati Uniti, la sua musica è vista con rispetto, trattata come arte e cultura. E allora lui ripaga subito la calorosa accoglienza, citando Stravinskij nel finale dell’assolo di Salt Peanuts. Non una citazione a caso, il compositore russo era uno dei preferiti di Bird, una fonte d’ispirazione.

La scoperta dell’autore del balletto Firebird è di qualche anno prima e fu un colpo di fulmine: il nome dell’opera gli ricordava il suo soprannome, così fece di Stavinskij il suo compositore preferito. È curioso come il suo apprendistato nelle forme “classiche” sia avvenuto nel periodo di massima creatività nel Bebop, ossia dal 1947 al 1949. Siccome nella storia c’è una risposta per tutto, o quasi, anche questa coincidenza non è casuale. Parker, infatti, al tempo si trovava in casa di Gil Evans, non ancora leader di una delle più famose e originali band della storia jazz, ma già noto arrangiatore e figura carismatica della scena newyorkese, che lo introdusse ad altri compositori, come Bartók.

 

Tali fortunate circostanze non sono marginali, come alcuni storici e musicologi hanno sostenuto: il cenacolo evasiano (dall’appartamento andavano e venivano Gerry Mulligan, Miles Davis ecc.) fu una fonte di grande influenza che permise a Bird di maturare il suo stile e, soprattutto, di dirigersi verso un mondo che ormai sentiva parte di lui: la musica euro-colta. Insomma, per Bird furono anni davvero intensi, non solo sfruttava l’appartamento come un rifugio, qui poteva “disintossicarsi”dalla frenesia della sua vita, ma soprattutto aveva l’opportunità di confrontarsi con altri musicisti che come lui si erano appassionati al classico. Bud Powell, seppur sbronzo fradicio di birra, suonava Bach in casa Evans. Parker era entusiasta, fremeva dalla voglia di misurarsi con questa musica.

 

Trovarsi a Parigi, nella stessa città in cui i suoi amati compositori avevano suonato, fu per lui motivo di grande orgoglio e un’occasione da non lasciarsi sfuggire per realizzare il suo sogno più grande: studiare al Conservatorio Nazionale Superiore. In questo primo viaggio nella capitale francese (il secondo, un anno dopo, sarà fallimentare perché non onorerà l’ingaggio), un Parker emozionato incontra Marcel Mule, il padre del sassofono “classico”, stimato interprete e detentore della cattedra al Conservatorio. Bird comincia a sognare, si vede già allievo di Mule e di Nadia Boulanger per la composizione, ma il risveglio sarà brusco.

Il rapporto con Miles Davis si era concluso l’anno prima a causa, probabilmente, della proposta che Gil Evans fece al giovane trombettista: essere il solista nell’ambizioso progetto poi noto come Birth of Cool, proposta che Parker aveva rifiutato. Era stato proprio Parker a presentare Davis a Evans. Il fatto che quest’ultimo avesse scelto il trombettista per il suo nonetto, gli procurò qualche gelosia, ma d’altronde era lui ad aver declinato il precedente invito. Inoltre i rapporti tra Bird e Davis erano già tesi da mesi (dalla serate del 1948 al Royal Roost), la proposta evasiana, in un certo senso, permise ai due di liberarsi dal loro sodalizio e intraprendere strade diverse.

Gli ultimi cinque anni del sassofonista di Kansas City sono un vero e proprio calvario, sia artistico sia fisico. Non trova pace: i suoi progetti “classici” sono sistematicamente ridimensionati dall’impresario Norman Granz (a eccezione di Parker with Strings, registrato alla fine del 1949, l’album era un compromesso per accontentare le aspirazioni di Bird). L’utilizzo degli archi non è che un contentino al sassofonista, le esigenze della casa discografica sopravanzavano quelle di Parker. L’idea, rimasta tale, di Bird è quella di divenire un Bartók o uno Stravinskij del jazz. Questa è la sua grande ambizione e ossessione, voleva a qualsiasi costo cimentarsi con la musica classica, unendola al jazz, dando vita ad un genere nuovo, ma pur sempre afroamericano.

Sfortunatamente per Parker, tra il 1952-1953, comparvero sulla scena jazzistica musicisti, come Dave Brubeck (allievo di Darius Milhaud al Mills College)e Charles Mingus, tutti impegnati in un rapporto dialettico con la classica, o quantomeno ne traevano ispirazione.

Bird avvicinò Gil Evans che, più per amicizia che per reale necessità (sebbene non lavorasse in quel periodo), registrò con lui tre brani dal sapore cameristico, ma Norman Granz fermò prepotentemente il progetto, peraltro fallimentare, e il tutto si arenò.

 

Ormai non c’è più spazio per Parker, la sua idea è stata raccolta e sviluppata da altri. Nel 1953 Gunther Schuller raccoglie attorno a sé il primo nucleo di quella che diverrà la “Third Stream Music”, una vera e propria corrente musicale intenta a legare tradizione jazzistica e tradizione eurocolta. Al sassofonista di Kansas City rimangono solo sogni e progetti troppo ambiziosi per essere praticati.

Nel 1954 muore l’amata figlia Pree, è il colpo di grazia, non si riprenderà più. Diviene sempre più chiuso e ossessivo, un incubo continuo lo accompagnerà fino alla morte.

Gli ultimi tentativi di farsi accettare come allievo dal compositore Edgard Varèse vanno a buon fine, ma Bird non arriverà mai a lezione. La morte, avvenuta nel 1955, pone fine a un’esistenza “famelica”, sempre alla ricerca di una Musa, forse, mai trovata ma tanto anelata. L’eredità e le speranze musicali dell’ultimo Parker sono rimaste sigillate in quello scrigno di cartone, lasciate come testamento e pronte, ora, a essere lette.

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FrancescoB alle 21:16 del 11 novembre 2011 ha scritto:

Articolo interessante e che offre spunti notevoli che consentono di inquadrare sotto un diverso punto di vista il musicista Parker, nato come musicista autodidatta formatosi fra i vicoli di Kansas City e poi New York. Padre del bop, ma capace di gettare un ponte anche verso il cool jazz ed i suoi momeenti migliori. Ottimo lavoro, Erick!

Daniel84, autore, alle 11:24 del 15 novembre 2011 ha scritto:

Ti ringrazio per l'apprezzamento. Appena avrò un attimo di tempo, scriverò altro.

Grazie!

FrancescoB alle 11:48 del 15 novembre 2011 ha scritto:

Visto che mi sembri molto ferrato in materia, prova a leggere (quando e se ti va, naturalmente) le mie recensioni jazz...Giusto perchè conoscere il parare di qualche altro appassionato, anche se negativo o critico, per me è sempre motivo di interesse ed incentivo a migliorare

Daniel84, autore, alle 16:16 del 15 novembre 2011 ha scritto:

Ok, leggerò volentieri!