Soundgarden
Louder Than Love
Si parla tanto di "Badmotorfinger" o del plurimilionario "Superunknown", ma il vero capolavoro dei Soundgarden, a mio avviso, è proprio questo "Louder Than Love", rito di passaggio e anello di congiunzione tra il grezzo, acerbo e bellissimo "Ultramegaok" e il nuovo "volto" che si andava pian piano delineando del Giardino del Suono.
In questo album possiamo ritrovare una miriade di influenze dei tempi fasti che furono, ovvero gli anni '70, anni dei grandi vocalist e dei padri fondatori dell'hard rock, mischiati ad una psichedelia chitarristica debordante ed echi di punk selvaggio, con in cima la pesantezza dei maestri di quello che sarà poi il metal, i grandissimi Black Sabbath. Proprio a questi ultimi conditi con i più grandi dell'hard rock/blues, ovvero gli immensi Led Zeppelin, sono stati accostati i Soundgarden, bollati subito come una scialba e mal riuscita imitazione dei due gruppi, tanto da essere soprannominati, a mio parere ingiustamente, "Led Sabbath". Ma i Soundgarden, pur facendo tesoro della lezione imparata a menadito degli illustri predecessori, maturarono una propria identità album dopo album, arrivando a creare questo monolitico, granitico, cupo e splendido "Louder Than Love" (A&M Records, 1989) quando la scena di Seattle era ancora "dormiente" e nessuno poteva sospettare un'esplosione di tal portata con il fenomeno "Nevermind" che cambiò per sempre le sorti della musica dal 1991 in poi.
L'apertura è affidata alla chitarra folle di Kim Thayil, barbuto virtuoso della sei corde, genio un po' incompreso forse, che disegna riff pesanti come macigni di Stonehenge e acidi come limoni acerbi, sopra un drumming potente, ma ancora grezzo di un Matt Cameron che di lì a poco andrà a ritagliarsi uno spazio nell'olimpo delle percussioni accanto al suo mentore, l'immenso John Bonhham, a cui si accompagna il tagliente e serrato basso di Hiro Yamamoto, qui purtroppo all'ultima apparizione con la band che lascerà subito dopo l'uscita del disco. Tutto questo splendido e pomposo tappeto viene srotolato per introdurre l'entrata in scena di una delle voci più belle, potenti, ed estese finora sentite, anche se qui ancora un po' acerba, quella di Chris Cornell, che attacca "Ugly Truth" e pone le basi di quello che si rivelerà, pezzo dopo pezzo un vero capolavoro.
La psichedelia impazzita della chitarra di Thayl continua l'opera in una debordante "Hands All Over", dove Cornell tocca picchi di intensità vocale notevoli, mentre in "Gun" i nostri danno un saggio di tecnica in una progressione e accelerazione metal da brividi, partendo da un lento, solido, pastoso e funereo riff Sabbathiano. Peccano magari un po' di presunzione i ragazzi, ma vogliono mettere subito le carte in tavola per far vedere di che pasta sono fatti. "Power Trip" è un blues acido, caldo e viscerale, che a tratti può anche spiazzare per la proposta messa sul piatto fino ad ora dai quattro di Seattle, mentre i 9/4 di "Get On The Snake" sanciscono andora una volta, se non era ancora chiaro, la versatilità e inventiva del gruppo.
Dopo bordate pscichedeliche, blues, hard rock & spruzzate di metal tagliente arriva anche la scuola punk, con la serrata e diretta "Full on Kevin''s Mom", a seguire la mastodontica e monolitica "Loud Love" si candida sicuramente a miglior pezzo dell'album, con la sua cupa atmosfera, il suo lento e solenne incedere lisergico e quel mastodontico, sublime cantato. Non contenti i Soundgarden piazzano come seguito un pezzo direttamente rimasto nascosto nelle corde di zio Tony Iommi, un macigno di claustrofobica pesantezza, "I Awake", accoppiandola, se la precedente non fosse bastata, all'altrettanto schiacciante "No Wrong No Right".
Il maestoso muro di chitarre unito alla sempre stentorea voce di Cornell cadenza l'incedere di "Uncovered", a cui segue un'irriverente "Big Dumb Sex", ripresa anni dopo dai Guns N' Roses nel deludente "The Spaghetti Incident", per concludere con la versione reprise liquid blues di "Full On Kevin's Mom", forse per dare un po' di respiro alle martoriate orecchie dell'incauto ascoltatore che ha avuto la malsana idea di esagerare con il volume.
Un passo molto importante per i Soundgarden, approdati con questo monolite per la prima volta ad una Major e proiettati sulla passerella di un trampolino di lancio che li avrebbe fatti balzare direttamente all'attenzione del grande pubblico, mettendo, con "Louder Than Love", la pulce nell'orecchio al mondo che un nuovo modo di intendere la musica "heavy" stava arrivando come un lento ma inesorabile schiacciasassi e che Seattle ne sarebbe diventata presto l'epicentro.
Capolavoro inarrivabile
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