Velvet Underground
The Velvet Underground
Dopo aver provato come si potessero sfidare le convenzioni tematiche e musicali del rock degli anni sessanta nei due predecessori (The Velvet Underground and Nico e White Light/White Heat), con questo terzo lavoro i Velvet Underground, sul piano musicale, virano in un terreno più calmo e rilassato.
Infatti, con la perdita di Jonh Cale, allontanato da Reed, non solo viene a mancare il co-fondatore ma anche il musicista più avaguardista dei quattro. Così nellautunno del 1968, per mezzo del manager Steve Sensnick, Lou fece entrare nel gruppo Doug Yule, un giovane bassista cresciuto a Long Island. Sebbene Sterling Morrison e Maureen Tucker erano preoccupati che il nuovo ingresso potesse turbare i delicati equilibri della band (i due erano stati decisamente contrari alla decisione di Lou di liberarsi di Cale), Yule si rivelò unaggiunta interessante alla band perché era un musicista più che dignitoso e aveva delle ottime qualità vocali.
Il primo frutto della nuova band di Lou fu, appunto, il terzo album dei Velvet Undergroud che porta il titolo omonimo e fu registrato in novembre nei TT&G Studios di Los Angeles.
Il secondo evento determinante per capire levoluzione di questo album si verificò proprio a Los Angeles e consistette in un accadimento causale, ossia il fatto che appena prima di entrare in studio di registrazione, mentre si trovavano allaeroporto, i Velvet subirono il furto di tutti gli effetti elettronici, riposti nelle loro custodie protettive, restando soltanto con gli amplificatori e le chitarre, senza distorsori, compressori e pedali vari (anche per questo le sonorità del disco risultano semplici e accoglienti).
Infine, accadde un qualcosa che avrebbe influenzato tutta il resto della carriera di Lou Reed e gettato il seme per lo scioglimento della band che si sarebbe verificato di lì a poco. Reed, dopo la registrazione e il missaggio dellalbum, tornò da solo in studio di registrazione e rifece il missaggio per mettere in evidenza la propria voce e la propria chitarra, distruggendo tutto il duro lavoro che gli altri componenti della band avevano compiuto per tirare fuori il meglio dalle sue composizioni (esistono due versioni diverse del disco: la Val Valentin della MGM e quella realizzata da Reed, nota con il nome di the closet mix perché secondo un notevolmente perplesso Morrison i brani sembravano registrati in un ripostiglio).
Nonostante questa serie infinita di inconvenienti, The Velvet Underground risulta un bel album che offre alcune ottime composizioni del cantautore newyorkese: Candy Says (dedicata al travestito Candy Darling, che sarebbe poi comparso in uno dei successivi hit di Reed, Walk On The Wild Side), la psichedelica What Goes On, il torbido blues di Some Kinda Love, la delicata e romantica Pale Blue Eyes (novità assoluta per i Velvet), in cui si indagano le fragilità, i rimpianti, le speranze, di un amore ormai consumato e irripetibile. Canzoni forbite, venate di intimismo e di struggente malinconia, anche se prive ormai della linfa primordiale dei dischi precedenti.
Le canzoni sono tutte incentrate sullargomento su cui Lou era più confuso in quel periodo, e cioè lamore. Confusione che si manifestò nella sua evidente bisessualità. In particolare, durante questo periodo e anche oltre, Reed ebbe una storia con due delle persone che avrebbero contato di più nella sua vita e la cui personalità pervade lintero album: il manager della Factory Billy Name (autore delle foto delle copertine) e la sua ex fidanzata di Syracuse Universaty, Shelley Albin.
L'album elenca tutti i tipi damore, dalladulterio allamore religioso, passando per quello omosessuale. Si incomincia con Candy Says, una ballata malinconica dalle chitarre piangenti cantata e interpretata meravigliosamente da Yule, in cui Lou raccoglie le confidenze del travestito Candy Darling (Candy dice sono arrivata ad odiare il mio corpo e tutto ciò cui ha bisogno in questo mondo... Candy dice vorrei capire con precisione quello di cui gli altri discutono con tanta discrezione). Si tratta ancora una volta di uno sguardo sul dramma interiore dei transessuali che soffrono la condizione di essere delle donne imprigionate in dei corpi maschili. Tuttavia, sia la musica che la lirica si fanno più dolci e compassionevoli rispetto alla cruenta sala operatoria di Lady Godiva's Operation (Guarderò gli uccelli blu (tristi) che volano sopra le mie spalle... voglio guardarli mentre mi passano sopra... forse quando sarò più vecchia... cosa credi che vedrei se potessi allontanarmi da me?).
Con What Goes On si cambia e i Velvet ritornano ad accellerare a ritmo di rock psichedelico accompangando la confusione di Reed (Cosa succede qui nella tua mente? Penso di stare cadendo... che succede qui nella tua mente? Mi sembra di stare a testa in giù). Ricompare l'organo, ma quello di Yule non è quello di Cale in Sister Ray.
Some Kind Love è un classico della band e si tratta di un blues seduttivo e accattivante, in cui Lou enuncia il tema fondamentale dell'album, secondo cui tutti i tipi di amore sono uguali basta che siano amore (In certi tipi di amore... Marguerita ha detto a Tom... tra pensiero ed espressione ci sta una vita... certe situazioni accadono a causa del tempo e non ci sono amori migliori di altri).
L'altro classico dell'album è Pale Blu Eyes (oggetto di numerose cover tra cui spicca quella di Patty Smith nel Live di Stoccolma del 1976). Lou si mostra romantico come prima aveva fatto solo in I'll Be Your Mirror (anche questa, contrariamente a quanto comunemente si pensa, ispirata dalla Albin e non da Nico), ma qui risulta più nostalgico e appassionato. La canzone è una stupenda ballata acustica, semplice e struggente. La musica si disperde dolce nella scia di nostalgia che lasciano gli occhi azzurro pallido di Shelley (Linger On è un termine utilizzato per sottolineare l'odorare le scie dei profumi che rimangono nell'aria). Questa canzone è dominata da Lou, dalla sua voce commossa nel rimpianto per la perdita del suo amore più grande (Pensavo a te come la cima della mia montagna, pensavo a te come la mia vetta, pensavo a te come tutto quello che ho avuto ma non sono riuscito a tenermi... che ho avuto ma non sono riuscito a tenermi... non dimenticando i tuoi occhi azzurro pallido). Una canzone che cambia così radicalmente sia il suono che il messaggio dei Velvet, tanto che Sterling Morrison, si rivolse a Reed dicendogli: se io avessi scritto una canzone del genere, non ti permetterei di suonarla. Ma per fortuna è stata suonata e si tratta di un capolavoro.
La perdita di Shelley ci consegna un Reed stremato e desolato che addirittura non esita a chiedere aiuto a Jesus, una preghiera accompagnata da dolci arpeggi e dalle doppie voci che si fondono insieme quasi cantassero un inno (Gesù aiutami a trovare il posto giusto per me... aiutami nella mia debolezza perchè sono caduto fuori dalla grazia).
Con Beginning To See the Light, il protagonista del disco (che ovviamente è Lou ma che purtroppo o per fortuna potremmo essere ognuno di noi), capendo che percorrere la stessa strada con qualcuno è particolarmente triste, incomincia ad aprire una nuova finestra sul mondo che lo circonda e si rialza ("Comincio a vedere la luce... voglio dirvelo, uoooh... ora comincio a vedere la luce... ecco una cosa più dolce... ho usato le mie mani come denti per arruffare i capelli della notte... ed ora incomincio a vedere la luce). Ritorna un rock veloce e grintoso come la stessa voce di Reed, quasi isterica nel godimento del sentire la sofferenza che incomincia ad essere alle spalle.
Sofferenza che diviene completamente alle spalle in I'm Set Free (Sono stato liberato, sono stato liberato...sono stato lberato per trovare nuove illusioni). La musica si fa piena in un crescendo continuo di voci (è cantata da Yule con doppia voce di Reed) e suoni, con una grande batteria di Maureen Tucker e un prezioso assolo di Morrison.
Alla fine Reed, memore degli insegnamenti poetici e letterari di Raymond Chandler e del suo mentore Delmore Schwartz, sintetizza la sua parabola con un semplice e completo non c'è differenza tra giusto o sbagliato... questa è la storia della mia vita (That's The Story Of My Life).
A questo punto giunge l'inaspettato, una mossa senza compromessi degna dei due album precedenti, The Murder Mystery, nella quale si intrecciano quattro livelli narrativi diversi tra cantato (splendida Moe) e recitato. Torna a farla da padrone l'organo che crea una psichedelia inquietante e misteriosa fino al sesto minuto quando rimasto unico strumento trasforma completamente la canzone: in definitiva un gioiello.
La conclusione del disco è per la tristissima (così l'ha definita lo stesso Reed) e retrò Afterhours, deliziosamente cantata dalla voce babinesca della Tucker, in cui riemerge il tema dell'illusione della felicità data dagli effimeri eccessi della vita notturna, già accostato in All Tomorrow's Party (Nell'oscurità bar in festa e cadillac scintillanti, mentre la gente sembra così grigia in piedi confusa sotto la pioggia... ma al buio la gente e bella... così se chiudi la porta, la notte potrebbe durare un'eternità... lascia fuori la luce del sole e dì addio al mai... tutta la gente balla e si diverte così tanto che vorrei potesse succedere anche a me... perciò chiudi la porta così non sarò più costretta a rivedere il giorno).
L'album, sebbene, come premesso, non può certamente assurgere al ruolo di capolavoro e di disco seminale per l'intera musica rock, conquistato senza se e senza ma dai due precedenti lavori, risulta, tuttavia, degno del suo nome e forse propio il suo suonare così acustico gli fa assumere una peculiarità non ritrovabile negli altri Velvet Underground.
In definitiva, un disco molto buono che non può mancare nell'ascolto di chi voglia capire fino in fondo l'opera artistica di questa band incommensurabile.
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