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R Recensione

10/10

John Cale

Paris 1919

Eccolo! Il capolavoro nascosto degli anni '70. Lo dico senza paura. L'eccessiva enfasi è dovuta al fatto che ho sempre amato tutto ciò che è legato ai Velvet Underground, da Andy Wharol a Lou Reed, a Nico per arrivare a John Cale, animo gentile, mente sperimentale, personaggio di spicco dell'avanguardia newyorkese di fine alli '60 (pur essendo gallese), concepì insieme al compagno di merende Lou uno dei dischi seminali per tutta la musica a venire. Poi le liti, l'allontanamento dal gruppo e la carriero solista, in cui John proseguì con tenacia ciò che aveva iniziato.

Scoprii questo disco per caso, come per caso si trovano i tesori più preziosi, e da subito l'ho amato. Il fatto che sia qui a scrivere è la dimostrazione che l'amo ancora. Si inizia con Child' Christmas in Wales, e la malinconia fumosa ha subito la meglio. Sono poche le canzoni con un potere evocativo tale, penso, ma quella successiva è ancora più triste, Hanky panky nohow: What's needed are some memories of planing lakes, Those planing lakes will surely calm you down. Arriveranno tempi migliori, John.

Macchè. La traccia numero tre è a mio parere la canzone più triste di sempre e probabilmente una delle più belle. The endless plain of fortune.  Non ascoltatela da soli in macchina in una serata di nebbia, non ve lo consiglio. Arriva Andalucia: Andalucia when can I see you, When it is snowing out again. Dolce nostalgia di una terra tanto magnifica quanto lontana. Macbeth è l'intermezzo rock, forse l'autore aveva capito che non era sopportabile per un umano una tale dose di cupezza. Niente male comunque. Si riparte, la titletrack è sulla falsariga delle precedenti:You’re a ghost la la la,You’re a ghost,I’m in the church and I’ve come,To claim you with my iron drum,La la la. Pianoforte, cori, fiati, sperimentazione, musica classica ecc.Geniale, ma non è finita.

Grahan greene ricorda la sigla di Gordian, il cartone giapponese. Ecco perchè mi piaceva quella canzone. Ancora due e siamo alla fine. Mi pare superfluo aggiungere che Half past france non sia esattamente un esempio di canzone spensierata mentre Antartica starts here è probabilmente la seconda canzone più triste di sempre, ma entrambe hanno intrecci melodici tanto semplici quanto importanti. Questa è musica che ferisce, che deve essere ascoltata e metabolizzata, con un potere immenso e per tale motivo da maneggiare con estrema cautela.

Dimenticavo la cosa più importante.La voce di John Cale: è meravigliosa, ha quacosa di sciamanico, ti avvolge e ti stordisce, è potente e delicata. Ti colpisce e ti accarezza, esattamente come questo capolavoro di una tristezza immensa e lucente.

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Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 12 voti.
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Cas 8/10
loson 8,5/10
tecla 9/10

C Commenti

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Dr.Paul (ha votato 8 questo disco) alle 14:38 del 5 gennaio 2009 ha scritto:

un grande album!!

certo...si "sente" che è il lavoro di un artista che dà il meglio di sè quando è defilato, lui non è da "prima linea", per essere un album "pop" manca il motivetto che ti si fissa in testa o la drammaticità contagiosa (a là berlin x intenderci) di molti altri. certo è un fantastico taccuino di appunti da sbirciare x prendere spunto, un vademecum colmo di idee eccentriche, molti per intingere in questa tinozza si sono sporcati le dita, ti pare poco...

Utente non più registrato alle 14:32 del 4 giugno 2012 ha scritto:

Grande album, peccato sia poco conosciuto

NathanAdler77 (ha votato 9 questo disco) alle 19:02 del 4 giugno 2012 ha scritto:

Magnifico, un fondamentale manuale delle istruzioni baroque-pop per le future generazioni...Brani come "Paris 1919", "The Endless Plain Of Fortune" e "Hanky Panky Nohow" sono tra le migliori testimonianze artistiche di Cale.

tecla (ha votato 9 questo disco) alle 21:08 del 30 settembre 2012 ha scritto:

Meravigliosa The endless plain of fortune, perfetta fusione trra gli archi e la voce

FrancescoB (ha votato 8 questo disco) alle 10:51 del 18 agosto 2013 ha scritto:

Il lavoro migliore di Cale, per quanto mi riguarda. Forse l'unico che scorre senza intoppi, che ricama piccoli gioielli di avant-pop senza fatica, sempre a metà strada fra melodia fruibile e sperimentazione.

Utente non più registrat (ha votato 7 questo disco) alle 22:25 del 25 febbraio 2021 ha scritto:

Disco invero piuttosto discontinuo, con un Cale che veste i panni di un improbabile Bowie e assieme di un chansonnier francese; ma la sostanza si sente: songwriting di livello, maturo al punto giusto. Al giovane Scott Walker sarebbe piaciuto fare un disco così. Non il migliore di Cale, ma uno dei più notevoli al netto dello scarto premesse/risultati - che è un po', da sempre, la caratteristica chiave dell'arte di Cale.