Lou Reed
Transformer
L'eroina era la mia amante fissa [..] Poi arrivi tu, e mi chiedi di cosa ho bisogno. Beh.. diventa tu il mio amante fisso.
Di questa frase carpita a Velvet Goldmine potremmo fare, sotto la lente dingrandimento della metafora, lepitome del disco. Trasformazione. Cambiamento. Travestimento. Crisi: una parola che nelletimo vuol dire anche opportunità. Scrivere canzoni con gli occhi di qualcun altro, guardarsi dallesterno. Suonare come recitare, riservando per se la parte del protagonista. E lui, lebreo errante, il moralista dell immoralità, il poeta della ragion pratica, sfida i limiti oggettivi della sua egomania, ammette di avere bisogno daiuto, si rimette in gioco, si reinventa, trasformando il tutto in un colossale scherzo di cattivo gusto, a detta di qualcuno, diventando semplicemente quello che doveva essere, secondo qualcun altro, Androgino, Gay, Bisessuale o Eterosessuale in una parola il Desiderio .
Giunto ormai stanco, svuotato e vagamente nauseato dalla vita in capo al nuovo decennio, dopo essere rimasto per troppo tempo solo alla testa di quella scheggia di futuro conosciuta con il nome di Velvet Underground e averne prolungato lattività forse al limite del massimo consentito, a metà del 1972 Lou Reed è un uomo pieno di dubbi, di ansie, di incertezze. Il suo album desordio non ha convinto nessuno. Troppo tragicamente normale. La livida gloria del suo passato lo perseguita, pesa su di lui come un macigno. Se resta ancora aggrappato a un contratto è per i buoni uffici del vicepresidente Dennis Katz, perché la Rca muore già dalla voglia di scaricarlo. Ma a questo punto, neanche fossimo in una commedia di Bernard Shaw, entra in scena il Pigmalione. David Bowie, Ziggy Stardust (checca da Aldebaran parodia di spiders from mars firmata Lester Bangs), il futuro Duca Bianco, il più grande comunicatore del suo tempo, la gallina dalle uova doro della scuderia, colui che è facetamente intenzionato a fare del glam lultima avanguardia del 900, si offre spontaneamente di produrre il nuovo disco di Lou e garantisce, anche dal punto di vista commerciale, per lintera operazione.
I motivi che lo spingono sono molteplici: lammirazione e il debito di riconoscenza per canzoni come White Light/White Heat o Waiting For The Man (che in quelle settimane gli fece dichiarare: Lou ha portato il rock nell'avanguardia. Ha creato l'ambiente nel quale inserire la nostra visione più teatrale. Ci ha dato la strada e i paesaggi e noi li abbiamo popolati. Lou Reed ha creato lo Zeitgeist verbale e musicale), lo spirito di emulazione nei confronti di quello che è, a tutti gli effetti, il suo più grande maestro, Andy Warhol, di cui sogna di ripercorrere le gesta come demiurgo, manipolatore e vate della scena glam (che è, per certi versi, unestensione, appena più patinata e consentita ai minori, della Factory e della Pop Art), la naturale ed esibizionistica abnegazione che lo porterà ad accostarsi ad altri eroi in disarmo del decennio precedente (John Lennon e poi soprattutto, anzi, più di tutti, Iggy Pop). Dal canto suo Reed, fragile e problematico, ma anche duro e sfuggente come i ragazzi di strada che popolano le sue liriche, sente il bisogno di avere costantemente al suo fianco la figura di un impresario/affabulatore, di un affettuoso consigliere che ne smussi gli spigoli e ne conforti le certezze. Oltretutto Bowie gli piace, da un po di tempo sè stabilito a Londra, dove ha registrato anche il suo disco desordio, ed è rimasto favorevolmente colpito dal fermento creativo del movimento e dalleccentrico circo estetico con cui ha avuto modo di familiarizzare.
Dallesterno allinterno, la metamorfosi è quasi leggendaria. Lou, pur conservando, tra le righe, il suo perverso allure angeriano, in copertina sembra un fumetto: vestito di pelle, trucco da teatro giapponese (occhi bistrati di nero e cerone bianco), quasi un Frankenstein muliebre (laddove Il mostro è in tavola Barone Frankestein di Morrissey incrocia La Moglie di Frankestein di James Whale), un fantasma dellopera in versione fetish. Mentre sul retro vediamo lo stesso modello ai due lati di uno specchio: nellennesima interpretazione gay di Marlon Brando ne Il Selvaggio e poi en travesti, sbocciare con tanto di parrucca e negligè nero dal suo bozzolo di lamè, come una farfalla di Cristopher Street. Più chiaro di così.
Meno scioccanti, forse, ma altrettanto esplicite le scelte musicali dellalbum: Transformer cerca (in parte trova) un punto di convergenza focale fra i lacerti del rock metropolitano che ossessiona Reed fin dai giorni delladolescenza (come chiarirà qualche anno nella fiaba celebrativa di RocknRoll) e lo sgargiante cromatismo del glam inglese, perfezionando la miscela sonora con un accorto dosaggio di quel folk-pop mitteleuropeo che faceva già capolino (auspice Nico) nel primo album dei Velvet (e che sfocerà lanno dopo nellaffresco melodrammatico e decadente di Berlin). La produzione è tersa e luminosa senza essere soffocante, semplice e raffinata, fondamentale, in questo senso, il contributo di Mick Ronson (che nellalbum produce, suona piano e chitarra e firma con Reed e lo stesso Bowie tutti gli arrangiamenti), chitarrista storico della band di Ziggy e figura che, nella transustanziale trinità reediana (se Bowie è Warhol e lui è un altro se stesso, un altro da se), rimpiazza, per certi versi, quella di John Cale, la sua controparte eclettica, la sua competenza tecnica, luomo capace di rivestire di splendidi abiti armonici le canzoni pelle e ossa di Lou. Il resto lo fanno i brani.
Vicious è il tratto che unisce Bowie ai Velvet, il presente al passato recente, anche se pende ancora un po dalla parte del secondo: gli accordi sono più o meno quelli di Sweet Jane, la batteria metronomica, il portamento garage tardi 60, la chitarra di Ronson che si produce in gracidii quasi industriali e in assoli sottili e laceranti come frustate (termine quanto mai indicato come vedremo tra poco). Sul testo aleggia ancora sibillina la figura di Warhol (che pare abbia anche suggerito il titolo con alcune osservazioni su come lui e Reed camminassero per strada) e il suo sguardo ironico e divertito sul mondo del sadomaso e sulle forme più estreme e bizzarre della sessualità umana (Vicious you hit me with a flower/ you do it every hour/ oh baby your so vicious/ Vicious you want me to hit you with a stick/ but all ive gots guitar pick/ oh baby youre so vicious), quasi una Venus In Furs virata in chiave parodistica ed omosessuale (( ) why dont you swallow razor blades/ You must think that im some kind of gay blade/ but baby youre so vicious).
Già in Andys Chest , sebbene ancor più direttamente ispirata a Warhol e allintero caricatore che Valerie Solanas gli scaricò sul torace qualche anno prima, linfluenza glam si percepisce nitidamente, con la melodia teatrale, la chitarra distorta e temperata di Ronson, e le volute di cori dello stesso Bowie sullo sfondo. Il testo è una delle filastrocche più eleganti e visionarie mai concepite da quello che è, probabilmente, il più sottovalutato poeta americano del dopoguerra: con immagini degne duna Crudelia Demon disegnata da Cocteau (If i could be anyone of the things/ in this world that bite/ instead of an ocelot on la leash, id rather be a kite/ and be thight to the end of you string/ and fly in the air, babe, at night), citazioni da almanacco gay di Winnie The Pooh (cause you know what they say about honey bears/ when you shave off all their baby air/ you have a hairy minded pink babe bear) e uno dei versi più belli in assoluto di tutta la letteratura rock (and curtains laced with diamond dear for you). Poi cè Perfect Day, forse la pop song perfetta (chiedo scusa in ginocchio per il gioco di parole) della sua carriera, il piano classico, il discreto crescendo degli archi, fino al commovente rilascio del ritornello, un Reed -sempre più attore/narratore e sempre meno autobiografico- che incornicia una metafora cortese e quotidiana della routine tossica in scenari da Love Story (just a perfect day/ you make me forget myself/ i thought i was someone else someone good), anche se nel finale, aggiunge una nota amara (youre going to reap just what you sow), quasi a ricordarci che tutti i personaggi di questa commedia umana dovranno prima o poi fare i conti con le proprie responsabilità.
Hangin Round è un boogie da manuale glam, col piano percussivo e la chitarra croccante, una serie di piccoli e surreali ritratti della sua compagnia londinese che sembrano, stavolta per davvero, usciti da Velvet Goldmine. Poi il suo capolavoro Walk On The Wild Side: una specie di jazzy funk naufragato nel Quaalude, rap bianco dautore (tanto che sarà ripresa dagli A Tribe Called Quest negli anni 90) ante ante litteram ispirato al romanzo di Nelson Algren e alla pittoresca galleria umana della Factory (in cui spiccano Joe DAlessandro, Jacky Curtis), un giro di basso leggendario (di Herbie Flowers, che poi in realtà era un contrabbasso doppiato da un basso elettrico), la chitarra piumata di Reed, le serenate darchi, i cori postribolari delle coloured girls e il collasso finale con lassolo cool del sax che sfuma in dissolvenza. Make Up ambiguo inno weilliano (col piano e la tuba in evidenza) al travestitismo ( Then come pancakes factor number one/ eyeliner, rose hips/ and lips gloss such a fun/ youre slick little girls/ ooh just a slick little girl) che nel ritornello suona quasi come unesplicita rivendicazione del movimento post Stonewall (Now were coming out/ out of our closets/ out on the streets/ yeah were coming out).
Reed empatizza con i propri personaggi, sinebria delle loro gioie, patisce le loro piccole gelosie (Ive been told that youve been bold/ With Harry Mark and John) come in Satellite Of Love, ballata pianistica da boudoir con minuti ricami di flauto e chitarra nel bridge e coro finale glam/soul in cui seleva, altissima, la voce di Bowie. Poi Wagon Wheel talmente bowieana che si vocifera da lui stesso composta, con la chitarra massiccia, i call and response del coro femminile, gli spiazzanti intermezzi quasi a cappella, il rocky horror di Im So Free, il vaudeville da gossip column di New York Telephone Conversation (per piano basso e cimbali) anchessa in qualche modo omaggiante Warhol, forse il più grande pettegolo americano dopo Edgar J. Hoover, ed infine il commiato con Ladies Goodnight, a metà strada fra il cabaret weimariano e un nightclub di Hollywood Babilonia decorato in stile ruggenti anni 20, con Reed che, quasi a prendere le distanze dallallegro ed edonistico carrozzone su cui sè volontariamente imbarcato, descrive uno straordinario dietro le quinte fatto di solitudini abissali (Now if i was an actor/ or a dancer who was glamorous/ the you know amorous life/ would soon be mine), sentimenti feriti (but the tinsel light of star break/ is all thats left to applaud/ my heart break), tragicomiche consolazioni casalinghe (at elevens oclock/ i watch the network news/ ( ) ah anyway my tvs dinners/ almost done/ its a lonely Saturday night).
Dopo il successo planetario di Transformer la carriera solista di Lou Reed si rilanciò fino a diventare licona che oggi conosciamo, grazie ad una regolarità più che dignitosa e a qualche altro scossone leggendario (Berlin, Rocknroll Animal, Metal Music Machine, Street Hassle, New York su tutti), la sua strada e quella di Bowie, tuttavia, si separarono per sempre con qualche strascico polemico (Lou non ha ancora le idee chiare sulla propria personalità dirà questultimo poco dopo il divorzio) e senza particolari rimpianti, si evince, né da una parte né dallaltra. Come due astri che per un istante si sono incrociati effondendo tutto il loro splendore, allontanandosi poi per tempo prima che potessero offuscarsi a vicenda. Parola di Dennis Katz il primo a volere (o a subire) questo connubio: In retrospettiva, Reed fu più importante per limportanza che ebbe su altri artisti. Bowie fu forse superiore dal punto di vista creativo e commerciale: fu un ottimo compositore, arrangiatore, e produttore, ma fu soprattutto molto intelligente nellimpostare la propria carriera. Ma Lou sarà sempre in debito con David, per ovvie ragioni .
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