Wipers
Youth of America
Non c'è niente da fare: passano gli anni, i gusti si evolvono e maturano, la vista arretra e i capelli si fanno canuti, ma certi amori restano indelebili.
Un esempio: il mio amore sfrenato per il rock alternativo americano degli anni '80. Amore che poggia su basi solide, perchè fra maglie dell'alt-rock si nascondono piccole gemme senza tempo, perchè il movimento ha nobilitato quello che agli occhi degli appassionati di rock classico, il che equivale a dire al 90% degli appassionati di rock è il decennio povero per eccellenza, redento giusto in extremis dalle schitarrate del grunge.
Gemme senza tempo, dicevo: definizione che calza come un guanto "Youth of America", breve lavoro pubblicato a Portland, nel 1981, dai Wipers. Il che equivale a dire, semplificando un filo il discorso, da Greg Sage, autore di tutti i brani, chitarrista e voce del gruppo.
"Youth of America" è un disco speciale per diversi motivi.
Primo, ha sposato Television e Velvet Underground in una sorta di profetica prefigurazione della Gioventù Sonica. Sage è meno longevo ed enormemente meno conosciuto e celebrato dei colleghi, non c'è dubbio. Eppure la svolta "noise" l'hanno improntata lui e la sua chitarra sfuggente, fantasiosa, umanissima e certo più accessibile rispetto al diluvio di accordi stranianti e di tintinnii sinistri che farà grandi i Sonici.
Il noise di Sage è (un po' più) educato e temperato. Anche perchè la sua grandezza non si trova solo nel rumore, ma anche nella qualità melodica dei pezzi, sorretti da una voce accorata e turbolenta, giusto un filo più "rock" (nel senso migliore possibile: Lou Reed e Jim Carroll si acquattano fra le corde vocali, e li intravedi spuntare qua e là) rispetto alla media hardcore punk. Pezzi che si stagliano nel cielo come nuvole immobili per redimere una condizione impossibile: quella della gioventù che ha deciso di portare sulle spalle il peso del mondo intero.
Sage è figlio dell'hardcore ma è un musicista più colto della media del genere (anche perchè viaggia verso la trentina, mentre i suoi colleghi spesso sono minorenni), e il suo merito più grande è forse quello di aver coniato una sorta di cantautorato-noise che farà enormi proseliti negli anni a venire (da J Mascis a tutta la stirpe di figliastri e nipoti vari).
La title-track merita l'appellativo di "Marquee Moon" della West Coast, perchè frantuma una sequenza di accordi fragilissima e ultraterrena a furia di dissonanze e deturpazioni varie. "Taking Too Long" esordisce come un dialogo fitto fra le chitarre, mentre la melodia trabocca di entusiasmo e bellezza, tanto da guadagnarsi il titolo di capolavoro. "When it's over" è la sintesi più autentica del linguaggio di Sage: psichedelia morbida che si apre in solenni sinfonie di rumore, il tutto caricato da un pathos quasi palpabile. Mentre la sua voce profonda bisbiglia in sottofondo, prima di cimentarsi in una sorta di grido composto e a conti fatti inimitabile.
E' allora un peccato che un simile autore sia quasi sempre dimenticato, non solo perchè ha precorso molte fra le traiettorie del rock alternativo che verrà, ma anche e soprattutto perchè 7 pezzi vitali come quelli di "Youth of America" rappresentano qualcosa di raro, qualcosa da celebrare in silenzio.
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