Velvet Underground
The Velvet Underground & Nico
Un aneddoto apocrifo, in genere attribuito a Brian Eno, chiarisce limportanza di questo debutto ben più della consueta pletora di precisazioni storiografiche: The Velvet Underground and Nico (Verve, 1967) vendette solo poche centinaia di copie alla sua uscita ma ciascuna di quelle persone che lo acquistarono oggi è un critico musicale o un musicista. Difficile azzardare un termine di paragone o rintracciare un gruppo altrettanto influente nella storia della musica rock.
Decifrarne limprimatur sonico significa ricostruire la genealogia di tutta la scena alternativa (che forse, senza di loro, oggi neanche esisterebbe o sarebbe completamente diversa da come noi la conosciamo) e, in parte, di quella commerciale: dal punk detroitiano a quello settantasettino, dallart-rock alla new wave, dal raga-rock allindie-noise, dal glam allacid-folk, attraverso un certo pop dessai. Con loro nacque un modo di fare musica libero, caotico ed indipendente che la lente deformante della contemporaneità ha poi trascolorato nella miriade di sfumature stilistiche odierne. Lalbum era un centro di gravità permanente in grado di attrarre i fermenti più artisticamente eversivi e socialmente devianti del proprio tempo per trascenderli in un calvario di decadentismo urbano, tradurli in suoni espiatori e taumaturgici. Un universo estetico che serbava alla trasgressione e alledonismo un ruolo assai marginale,a dispetto di quanto si è spesso vaniloquiato o supposto. Una linea immaginaria ma invalicabile fra prima e dopo, unopera darte che, nellera della riproducibilità tecnica, avvicinava a grandi passi il rock alle neo-avanguardie.
La gloria del complesso e con essa la sinistra rivoluzione copernicana che mutò per sempre gli orizzonti della musica popolare, sfidando in un duello allultimo sangue i limiti della forma-canzone (i tre accordi di chitarra,il tempo in 4/4), si compenetra di quattro elementi fondamentali.
1) Liconografia fra Pop Art e Cinema Underground. La Pop Art era Andy Warhol ed Andy Warhol era la Pop Art. Andy scuote lestablishment con le sue Campbell Soup nel 1959 e poi si siede divertito a vedere leffetto che fa, Andy fonda la sua Factory e nel 1963 comincia a produrre film catatonici, ossessivi, costruiti su ununica inquadratura fissa come Sleep ed Empire, nel 1965 Andy smette di dipingere e si dedica ad una complessa strategia multimediale che abbraccia anche la musica. I Velvet non sono, come qualcuno erroneamente sostiene, la sua creatura, ma soltanto uno specchio della propria onnivora ambizione estetica; come da copione egli interviene su unopera darte già preesistente apportandovi appena qualche ritocco, la sua firma dautore. Andy cerca di addolcirne la negatività presentandoli a Nico; Andy li inserisce nel cast di un film, Venus In Furs, e in uno spettacolo, The Exploding Plastic Inevitabile, un bombardamento di luci, immagini e musica a volumi ciclopici; li introduce al milieu della Lower East Side popolato di teppisti, drag queen, drogati e prostitute che diverranno i protagonisti delle loro canzoni; Andy, infine, disegna la famosa banana della copertina sbucciabile che, in tiratura limitata, rivelava un interno rosa fallico.
Tuttavia la weltanschaung del gruppo resta intimamente irriducibile al cinismo entusiasta ed iper-tecnologico con cui lartista newyorchese ispeziona la realtà, riallacciandosi piuttosto alle perverse parabole morali di un De Sade o alla poesia anti-moderna di Baudelaire, gettando sulla metropoli uno sguardo che, di colpo, rende tutto sorpassato per togliere la vernice intollerabile del nuovo. A tratti, più che Warhol, sembra determinante linfluenza di un cineasta eretico ed indipendente come Kenneth Anger, sia per il feticismo omo-erotico ed esoterico di pellicole quali Fireworks e Scorpio Rising, in cui ogni trasumanante anelito di purezza passa attraverso una consapevole degradazione sado-masochistica, sia per il loro coté visivo (occhiali neri, abbigliamento di cuoio, fruste e catene) e gestuale (gli atti di masturbazione e lassunzione di stupefacenti mimati sul palco).
2) La musica davanguardia europea e il minimalismo. John Cale, gallese fresco di studi classici e borsista presso la facoltà di musica moderna del Tanglewood College, è il direttore dorchestra, larrangiatore e il motore primo nella galassia sonora dei Velvet (Reed ne è, come vedremo, la controparte lirica e letteraria). Traviato o forse rinsavito dalle infernali maratone free form di John Cage e La Monte Young, amico e sodale di Tony Conrad e Terry Riley, Cale si dedicherà ben presto ad intricati quanto rivoluzionari esperimenti di commistione fra le suite rumoristiche dellavanguardia e le concise melodie della canzone pop. Il suo approccio allestetica minimalista ha un valore, per così dire, metafisico (nel senso freudiano o se vogliamo de chirichiano del termine): in esso il retaggio classico ed orchestrale di strumenti come la viola, il pianoforte o il contrabbasso (tipici della musica da camera), traslato dal contesto e dalle finalità originarie, contaminato dallo stridente riverbero dellelettricità, del feedback, schermato in un assordante mantra metallico, assume la valenza semiologica di un olocausto dellacustica urbana, una cacofonica, psicanalitica rappresentazione di un inferno taylorista e post-industriale. Sospese fra gli acidi jingle-jangle folk di Reed, ancora influenzato dalla lezione di Dylan e Byrds, e le devastanti turbolenze strumentali di Cale, le canzoni dei Velvet si espandono asintoticamente senza disgregarsi ne abusare della propria forma.
3) Liperrealismo letterario di Lou Reed. Ovvero la Ragion Pratica del poeta. Il ragazzo ebreo della Brooklyn bene, ladolescente errante fra scuole private e sedute di elettro-shock, lanimatore di complessini garage rock che vinse un concorso di poesia con la sua The Slide, è vittima di una delle più assurde mistificazioni mai ordite dalla critica rock ufficiale (che poi vale a dire Rolling Stone e i suoi omologhi nazionali). Descritto per anni come un incosciente apologeta di morte, violenza e depravazione (solo per lambiguità di certe sue pose e dichiarazione pubbliche), questo artista è stato in realtà portavoce di una delle visioni più rigorose e radicalmente morali dellesistenza che il rocknroll abbia mai conosciuto.
Nella sua prosa in versi, aspra e disadorna, si consacra un impulso etico lucido e costante che attraversa la solitudine, labbrutimento, la passività da puttana sconvolta come stazioni ineluttabili di un viaggio che conduce alla pienezza spirituale. Come in Algren, Selby Jr., Purdy o Orlovsky, gli aspetti più oscuri e tenebrosi della mondanità si dissipano nei brutali riti del marciapiede, le libidini più tormentate e compulsive,pur registrate con limpassibile obiettività del cronista, si colorano duna pietas insieme commossa e severa che brucia austeramente ogni sospetto di compiacimento e voluttà. È questo il paradosso spirituale della commedia umana reediana: sebbene la grazia e lilluminazione siano un dono innato e non una conquista, tuttavia ogni creatura di questo habitat morale è, che ci piaccia o meno, responsabile delle proprie scelte. Ed ogni suo sforzo, per quanto vano, lustro di dignità e meritevole di conforto.
4) Espressionismo ed esistenzialismo. Anomala modella berlinese, folgorante comparsa ne La dolce vita di Fellini, madre di un figlio nato da una relazione con Alain Delon, Nico portò nei Velvet, oltre alle sue indubbie doti di interprete, una livida e sensuale atmosfera mitteleuropea che, lungi dal mitigarne leversione (comera negli intenti), li rese, se possibile, ancora più inquietanti. Chanteuse diafana ed aristocratica, maitresse altera e incantatrice che intona le sue malsane elegie su linee melodiche aliene dalla tradizione rock, in un deliquio di progressioni armoniche e stranianti lamenti teutoni. Nico è la Maya Deren della musica americana, lanfitrione delle angosce suicide del dopoguerra europeo nella decaduta terra che fu dei coloni quaccheri e puritani.
Ultimo ma non meno importante: Warhol/Barnum, Cale/Debussy, Reed/Poe e Nico/Circe, furono splendidamente coadiuvati in corso dopera dal dinamismo garagenroll di Sterling Morrison e dal primitivismo tribale e percussivo di Maureen Tucker.
Sunday Morning (originariamente composta per Nico ma cantata da Lou con intonazione femminea) è unumente lullaby da dormiveglia etilico: esercizi spirituali al culmine di un doposbornia lucano, tintinnii chiaroscurali che punteggiano una languida passività esistenziale recitata con la solennità di un exemplum o di unallegoria conciliare. Waiting For The Man, un boogie futurista scolpito dalluso in chiave percussiva di tutti gli strumenti, uno schema ossessivo e replicante che ha fatto scuola (per decenni schiere di gruppi new wave e indie rock lo hanno smontato e rimontato con variazioni esiziali), prima parabola da marciapiede officiata da Reed come se fosse il preludio ad un avvento messianico nella suburbia (luomo del titolo,nel gergo dei tossici, è in realtà lo spacciatore).
Femme Fatale, nel suo succinto e rarefatto abito strumentale, è un lounge-folk da bistrò depravato, con Françoise Sagan che occhieggia lascivamente una Simone De Beauvoir e Nico che bisbiglia trasognate odi saffiche. Venus In Furs, lottava meraviglia del rock, si culla sospesa fra lo stupendo arrangiamento di Cale (viola elettrica tesa come le corde di un bondage, tamburi e timpani da cerimonia zen, jingle-jangle madrigaleschi) e la prosa ironica e commossa di Lou Reed che sposa in un abbraccio tenero e misericordioso il maledettismo dappendice di Sacher-Masoch (il personaggio di Severin, così come la sua amante/bambina con tanto di frusta e stivali luccicanti, vengono spogliati dogni estetismo lussuoso e decadente e mostrati per quello che realmente sono: due figure fragili e patetiche illuminate solo dalla testimonianza onirica e paradossale del loro estremo atto damore).
Run, Run, Run è un garage-beat puberale fomentato da Morrison e rovesciato in unottica adulta e minimalista dai sulfurei baccanali di Cale. All Tomorrow Parties, il brano di preferito di Andy, ancora oggi stenta a trovare eguali: lucida fiaba espressionista che ritrae scene da dolce vita newyorchese allagandole in una luce sinistra ed aurorale. Nico, travestita da Cenerentola-Alice-Lolita-Lilì Marlene, piange dietro la porta e osserva dal buco della serratura un salone affollato di vipere anoressiche in muta di latex ed emaciati gentiluomini che vampirizzano bloody mary, un oceano di chiacchiere vuote, brillanti, fregnacciose e plastiche, varici, narici aspiratutto. Laltro lato dello specchio frantumato in un caleidoscopio di schegge che riflettono immagini della sua innocenza perduta. Una giostra di determinismo glaciale, un eterno ritorno alla noia come rituale sociale. Heroin è il testamento spirituale di Reed e lapice del turpiloquio sonico e sperimentale di Cale, una The End industriale, un raga orgasmico ed assordante, la morte e la resurrezione di tutto linformale scibile del rocknroll.
Come e più che in Venus la viola viene barbaramente scuoiata, il jingle-jangle si aggroviglia in spirali spinose e concentriche, la batteria è un tam tam, un pulsare intermittente, tavolta impercettibile, talora soverchiante. Al di là delle apparenze, nella genesi della morale reediana si riaffermano ancora una volta il valore dellesistenza e la responsabilità morale dellindividuo (Ho preso una grossa decisione / cercherò di annullare la mia vita) e anche dietro il martirio oppiaceo più insensato può celarsi una rinascita spirituale, unilluminazione transitoria ma bastevole da sola a sottrarci dalle spire del vuoto esistenziale (Grazie a Dio sto bene come da morto / e ringrazio il vostro Dio per essere incosciente / e non so niente / so solo di non sapere ).
There She Goes Again è un mersey-beat nauseabondo che,grazie ai controtempi di Maureen e alla viola di John, cromata dacciaio e cobalto, lestamente si trasforma in un divertito sketch da happening metropolitano. Ill Be Your Mirror, una serenata dolcissima in cui laccorata, blasfema pietas reediana viene predicata da Nico alla maniera di una Morgana/Santa Lucia che monda gli occhi degli incantati/fedeli educandoli alla bellezza che si annida persino nelle turpi piaghe del degrado circostante, lenendone con parole suadenti il patologico rifiuto di sé e della propria epoca. The Black Angel Death Song è un gioiello di sonorità caotiche e secanti, un miracolo di equilibrio fra maniacali indeterministi contenuti e forme minimaliste perfettamente trasparenti, intelligibili. European Son, un delirio free form di otto minuti in cui al ricordo del poeta beat Delmore Schwarz (insegnante di Lou alla Syracuse Univesity) si mescola un carnevale di inattesi fragori cageiani e cadenze vicine al free jazz di Ornette Coleman, con viola e chitarre che sostituiscono i fiati e la Tucker allapice della sua distonia percussiva.
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