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R Recensione

8/10

Orbital

Wonky

Oh is this the way they say the future’s meant to feel?

Or just 20,000 people standing in a field.

And I don’t quite understand just what this feeling is.

But that’s okay ’cause we’re all sorted out for E’s and wizz.

And tell me when the spaceship lands

’cause all this has just got to mean something.

La stagione dei rave sotto l’autostrada londinese M25 è passata da un pezzo, ed i Pulp, a metà dei ‘90, ci avvertivano che la sveglia per questo lungo sogno ecstatico che è stato il Rave, è già bella che suonata. Passata la botta euforica era il tempo di tirare le somme e capire se ne fosse davvero valsa la pena.

L’illusione di uguglianza che si provava ballando in un capannone sperduto chissà dove sotto un ritmo incessante, è stata spazzata via da logiche di marketing e conti in banca multimilionari.

Alla fine l’ego l’ha spuntata per l'ennesima volta.

È il luglio 2004 quando dai mitici studios della BBC Maida Vale (quelli dove registravano i Beatles per intenderci) Pete Tong annunciava l’ultima performance di uno dei gruppi simbolo della Cultura Rave: gli Orbital.

Sono trascorsi 8 anni e, nel frattempo, sono successe diverse cose, ma quello che interessa a noi ora è il rilancio della vecchia scuola britannica legata a doppio filo all’esplosione del dubstep e della breakcore, moderni linguaggi nati al servizio di sua Maestà.

La devozione mostrata dai giovanissimi talenti del basso assassino ha fatto sì che ai grandi parties della scena venissero invitati act mitici del passato come ad esempio Altern8, Adamski e Leftfield, suscitando l’entusiasmo del pubblico e dimostrando soprattutto di essere ancora in stato di grazia.

Chissà allora cosa deve essere passato per la testa ai fratelli Hartnoll, che da qualche tempo avevano ripreso a fare delle comparsate insieme giusto per promuovere l’ultimo best off, per convincerli a riunirsi anche in studio.

Tra le tante ipotesi l’unica motivazione che possiamo escludere per certezza è il bisogno di soldi per il mutuo o per la macchina nuova; Wonky è di una classe quasi abbagliante, degno dei fasti del Brown Album.

Le nove tracce presenti nel disco sono un concentrato della filosofia Hartnolliana: riff incalzanti, ritmi tagliati col laser, tastiere anthemiche pervase da una malinconia ancestrale, e una produzione limpida in grado di catturare fan di ogni estrazione.

Dal punto di vista sonoro gli Orbital sfoggiano l’esperienza accumulata, dosando con precisione farmacistica virus provenienti da influenze diverse: breaks, techno, acid, prog house, electro e i più recenti dubstep e wonky beat (da cui titolo e primo singolo).

Ciliegina sulla torta il featuring vocale della trendissima Zola Jesus.

Forse alla fine la generazione Rave non è riuscita a cambiare il mondo, ma è grazie a dischi appassionati come questo che è possibile passare il testimone.

Alright. In the middle of the nite, it feels alright

But then tommorow morning.

Oh then you come down.

What if you never come down?

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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0,5
target 7/10

C Commenti

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target (ha votato 7 questo disco) alle 12:29 del 4 maggio 2012 ha scritto:

Lode per la citazione pulpiana. Album che riporta gli Orbital dei bei tempi, anche se quella malinconia ancestrale di cui parli (quella di "The box") qua lascia tracce meno profonde che nei loro capolavori (certamente in "Beelzebub", che piuttosto è paranoica, e soooo '90s, e gran bella). Sono appena usciti con roba nuova anche i Future Sound of London, a proposito di '90s idm che tornano. Ascolteremo.

djsynth, autore, alle 16:44 del 4 maggio 2012 ha scritto:

in realtà avevo in testa Belfast e Halcyon, e qui su tutte Where Is It Going?

Sui FSOL vedremo, visto che negli anni hanno spremuto gli archivi anche troppo