R Recensione

7/10

Port-Royal

Where are you now

Per una band nata condividendo passioni new wave e post rock e improvvisamente, dopo le prime acerbe emissioni, catapultata nel panorama internazionale dell’electronica, al punto da pubblicare già il terzo disco con l’etichetta n5MD di Oakland, uno stop di sei anni dal disco precedente porta con sé alcuni interrogativi.

Pausa di riflessione, in cerca di una possibile ridefinizione identitaria e disegno di nuovi orizzonti? Il contenuto di “Where Are You Now”, legato al passato dei Port-Royal, per le avvolgenti architetture elettroniche, ma contemporaneamente aperto a nuove forme pop e dance, suggerisce questa lettura del tempo trascorso, proponendosi come probabile lavoro di transizione per i tre “reali” genovesi, Attilio Buzzone, Ettore Di Roberto ed Emilio Pozzolini, verso un futuro ancora da scrivere.

L’avvio di “Death of a Manifesto” non potrebbe essere più eloquente: l’intro ambient lascia presto spazio ad una sontuosa atmosfera dance con voce femminile filtrata e bpm d’ordinanza. “Alma M.”, accresce il tasso pop del lavoro, tradendo ben presto le iniziali tracce noise per avventurarsi in territori melodicamente accattivanti condotti dalla vocalità nu soul.

Port-Royal sono, però, figli degli anni ’90, del post rock, ed in generale dell’universo scoperto dai Primal Scream facendo deflagrare le barriere fra rock, elettronica e dance per unirli in unico ribollente calderone. Ecco allora “The Last Big Impezzo”, con le sue atmosfere wave a comporre un inebriante caleidoscopio elettronico, e “Whispering in the Dark”, che immerge il cantato in un soffuso clima ambientale elettronico, o le apocalittiche progressioni di “The Man Who Stole the Hype”.

Su altri fronti, invece, e sono forse gli episodi migliori, quelli curiosamente intitolati al filosofo e musicologo “Theodor W. Adorno” ed a “Karl Marx”, emerge la vena techno, che richiama a tratti i padrini Orbital, basata sull’iterazione e progressiva espansione di cellule ritmiche melodiche, regolarmente culminanti in avvolgenti climax sonori.

La cifra stilistica dei Port-Royal trova, comunque, in un disco anche troppo ampio per durata ed articolazione, alcune conferme: resta la tendenza a  saturare lo spettro sonoro in ampiezza e profondità, come l’andamento circolare delle composizioni, più evidente nelle sezioni ambientali (“Ain’t no Magician” e “Tallinn”), e viene confermata l’accurata ricerca timbrica che talvolta produce veri capolavori, vedi le barriere di suono industrial all’inizio di “Karl Marx Song”.

Tanta sostanza da frastornare richiede una pausa, che puntuale arriva al termine, con la ballata siderale di “Heisenberg”, unica oasi acustica del lavoro, che offre il sollievo di affidarsi alla voce femminile di  Bea May ed alle corde di una semplice chitarra acustica.

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