Hot Chip
Made In The Dark
La consacrazione era nell'aria da tempo: vuoi perchè l'eterna next big thing doveva prima o poi implodere o fiorire definitivamente, vuoi perchè già col precedente Warning i cinque avevano regalato una boccata d'aria fresca agli stantii standard di produzione della galassia indietronica: fatto sta che non era difficile prevedere il definitivo decollo dell'astronave Hot Chip in coincidenza con questo, attesissimo, terzo disco.
Difficile immaginare un terreno e un momento più fertile per l'elettronica spuria del quintetto Londinese, che arriva proprio sull'onda del contrattacco lanciato dal vecchio continente all'”impero” sonoro codificato dal clan DFA: risposta che qualcuno si ostina ancora a chiamare nu-rave, ma che è, molto più semplicemente un'assalto senza quartiere a vent'anni di elettronica da parte dei dancefloor europei: il post punk electro funk degli LCD Soundsystem, di Mr. Playgroup e dei Rapture, le pulsioni neo e proto electro del decennio ancora in corso, le derive synth pop sulla scia di New Order e Pet Shop Boys, i revivalismi meticci della techno primi anni '90 e della stagione d'oro del french touch.
Tutto assieme, tutto fagocitato senza riguardo e risputato senza troppi complimenti, dai quartieri alti dell'indie (Klaxons e Data Rock) e della leftfield (Digitalism e Justice). Una volta la gente manifestava crisi epilettiche ed isteriche di fronte all'elettrificazione di Dylan, ormai siamo assuefatti a fusioni che non si pongono più limiti di sorta.
Resta comunque difficile rimanere indifferenti di fronte alla proposta musicale degli Hot Chip: troppo movimentati per le abitudini molli dell'indietronica, troppo irregolari per le esigenze dei dancefloor leftfield, i cinque non si fanno (e non ci fanno) mancare davvero nulla questa volta. C'è l'eterno amore per Prince riletto come se fossero dei novelli Beck (epoca Midnight Vultures) versione 2.0, c'è il perfetto bilanciamento tra pop ed elettronica dei Phoenix, ma anche l'ecumenismo dei gruppi già citati, e molto altro ancora.
Out at The Pictures inanella grida assatanate e rimitche perverse che paiono sfuggite da un disco dei Rapture (o dei Supersystem), la folle giostra di Shake At Fist parte come una riedizione di If I Ever Feel Better nel remix dei Buffalo Bunch ed esplode sul finale in una techno acida e malata, Ready For The Floor, primo esplosivo singolo del gruppo è il pezzo che i Phoenix tentanto invano di (re) incidere da anni.
Il funk è una chiave costante: virato all'electro retrò di Bendable Poseable, sposato al synth pop in Touch Too, distillato nella sua forma più grassa in Hold On. In Don't Dance si trova persino il tempo di omaggiare le singhiozzanti ritmiche di Herbert, prima che la metamorfosi techno del pezzo abbiano la meglio. E non può mancare un pò di slackerismo glitch-tronico, cortesemente offerto da Wrestlers.
Ci credereste ? C'è anche spazio per il soul, virato urban in Were Looking For a Lot Love, sposato ad un paio di occhi blu in inaspettate ballate come Made In The Dark e In The Privacy Of Our Love.
E non si tratta di ecumenismo fine a sè stesso: la forza di Made In The Dark sta proprio nel fatto che, a dispetto di una vena musicale insaziabile e inarrestabile, gli Hot Chip riescono a ricordare tutti senza assomigliare davvero mai a nessuno. Se non, forse, a sè stessi.
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