Hercules and Love Affair
Hercules and Love Affair
Un misterioso reperto in 12 del Paradise Garage, magari sepolto sotto la segatura che copriva il pavimento degli stanzini deputati al chill out dopo una nottata di ballo sfrenato. Origàmi di sensazioni a tinte nostalgiche, sincreticamente impassibili di fronte allaccavallarsi di mode, life-styles, corpi, ideologie (del dancefloor e non). Il filo dArianna che imbriglia sorgenti difformi eppure fra loro contigue: la black disco cybertronicadi Patrick Cowley e il suo contraltare bianco ed europeo teorizzato da Giorgio Moroder; la patina dello Studio 54 e le rovine concettuali della No-New York riplasmate dal mixer di Francois Kevorkian; lapice della disco nel 78 e le prime avvisaglie del suo superamento, dallormai leggendaria African Suite alla house che Larry Levan e Frankie Knuckles andavano definendo fin dai primi 80s. La sonorizzazione del desiderio. La brama di possedere lattimo, non importa quanto inafferrabile (e indecifrabile) esso sia.
Nel progetto del poco più che ventenne Andy Butler un apprendistato come dj, il suo, svolto prevalentemente nei leather bar, gli habitat più pittoreschi della comunità gay newyorkese coesistono una mole di citazioni, idee e sfaccettature da lasciare beatamente storditi, come attraversati da elettricità dolce e complice malizia. Deve essersene accorto pure Tim Goldsworthy dellormai onnipresente DFA Records, quando ha preso il giovanotto sotto la sua ala protettrice, aiutandolo a produrre lalbum desordio. E di che esordio stiamo parlando, signori Roba da far impallidire il 90% delle produzioni dance statunitensi, a voler essere magnanimi. In fondo, da quant'è che non si assisteva a un tale simposio di nomi altisonanti della queer culture (cè pure quella ragazzaccia di Antony prezzemolo Hegarty nella combriccola), ritmi irresistibili e brani poco meno che perfetti?
Un album, Hercules and Love Affair, capace di passare senza cedimenti da una torch song in salsa techno-soul come liniziale Time Will ai puri brividi art-disco della cerroniana - e quindi splendida - Hercules Theme (vi dice niente Loves Theme della Love Unlimited Orchestra?), tutta rhodes pulsanti, maracas, micro-fanfare di fiati, groove androide e languidi vocalizzi soft-porno. Un album votato a riesumare antichi codici di comunicazione sonora, siano essi i salti dottava alla Bernard Edwards (Chic) del basso in Raise Me Up, le traiettorie free degli ottoni su This Is My Love, o gli stacchi di tastiera della sorprendente Athena che richiamano tanto gli OMD quanto la storica Ten Percent trattata da Walter Gibbons. Questo, amici miei, non è sterile citazionismo, né semplice giustapposizione di fonti: piuttosto un atto di fede, lappassionata ricostruzione dellidea di disco-music che ancora aleggia fra i solchi del nostro presente.
Ma poi, chi ha detto che la lista delle rievocazioni stilistiche finisca con la disco? You Belong è pura Chicago-house come la facevano i pionieri, con tanto di ritmica serrata (ah, quelle cowbell ), tastiere vaporose, bassi acid e cadenza da spiritual bionico (pare quasi dudire le prime produzioni di Knuckles per Jamie Principle, e basterebbe questo dettaglio a renderla irrinunciabile). Linterplay alla moviola fra synth e fiati scioglie invece Iris in una malinconia cosmica, mentre la voce della Kim Ann Foxman, malconcio Pierrot, saltella da una stella allaltra, come persa nello spazio siderale. Il concettualismo wellesiano di True False, Fake Real, daltro canto, sembra messo lì in chiusura apposta per contraddirmi: condensa degli umori più disparati, provenienti da ogni filiazione e/o corrente della disco (sapori afro di congas, arabeschi avantgarde alla Arthur Russell, gong, arpe coreografiche Broadway-style, le voci allelio di Sylvester e archi da cineteca), questo gioiello sarebbe il climax dell'opera se non fosse per
Vabbè, lavete capito: allappello manca soltanto Blind, divenuta anche qui nello stivale una specie di tormentone estivo (12° posto nella classifica italiana). Superfluo quindi elogiarne lelasticità ritmico-melodica, la carica emotiva, la relativamente asciutta prova vocale di Antony (lo dice uno che non lo sopporta, fate voi ). Vale invece la pena segnalare limmenso, irraggiungibile, commovente remix del brano ad opera di Frankie Knuckles, questo sì brano dance dellanno ma se la gioca con Black And Gold di Sam Sparro e forse il remix per eccellenza di tutta la sua carriera. Nessun altro avrebbe saputo "leggere" il dolore traboccante di questo pezzo ed enfatizzarlo con quei sintetizzatori celesti, apparentemente scissi dal clima festoso del manufatto originale. Un mito vivente.
Lebbrezza provata al cospetto di Hercules and Love Affair scaturisce giustappunto dallintrallazzo fra ludicità e struggimento interiore (I can look outside myself/ And I must examine my breath and look inside ) con cui Butler & Co. riescono a lustrare un immaginario ormai storicizzato, ma mai, in fondo, decaduto. Certo, il gioco è palese, assai meno velato di quello condotto da Daft Punk e parentame French touch a metà anni 90, ma questo perché a divergere sono i postulati affettivi che ne guidano lo svolgimento: non più lentusiasmo adolescenziale, ma la condizione matura in cui si medita su ciò che si è perso.
Ecco perché Hercules and Love Affair appare mosaico sì carnevalesco, eppure immerso nella saudade per i giorni migliori di cui non siamo stati testimoni e che, soprattutto, non potremo (ri)vivere. A pensarci bene, gran parte della loro bellezza (come delle vite possibili a cui abbiamo rinunciato) sta tutta lì.
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