V Video

R Recensione

7/10

Avi Buffalo

At Best Cuckold

Li si aspettava al varco, gli Avi Buffalo, moniker dietro il quale si nasconde il deus ex-machina Avi Zahner-Isenberg, che, con i suoi tre sodali, dopo il debutto sulla lunga distanza di ben quattro anni fa lodato dalla critica, da Pitchfork (che tra l’altro ha avuto il merito di farli approdare nientemeno che alla Sub Pop) appronta la seconda tappa di un viaggio dreamy - pop in technicolor, tra nostalgie sixties, melodie sognanti, intarsi di piano, chitarre acustiche, puntellate da rasoiate elettriche e la voce a tratti dolente, svogliata del leader.

 Rispetto al lodato (giustamente, oserei dire) omonimo esordio di quattro anni orsono, qui si percepisce la voglia di affrancarsi dai propri paladini (Beach Boys su tutti), senza rinnegarne le indubbie influenze ed al contempo rinvigorendo la proposta musicale con spunti interessanti, melodie mai banali, che all’inizio non catturano da subito l’attenzione, rendendo il lavoro all’apparenza disomogeneo e disarticolato.

Nulla di più sbagliato; difatti man mano che si approfondiscono gli ascolti si scorge una cura negli arrangiamenti e nella costruzione di questi piccoli affreschi sonori che ha dello sconcertante – si ascoltino l’asciutta "Can’t Be Too Responsible", che potrebbe essere stata scritta nientemeno che da Elliott Smith, oppure le due splendide ballad, tra Neil Young e Bob Dylan, che rispondono al nome di "Two Cherished Understanding" e "Overwhelmed with Pride", nonché quella mirabile classicità di lato che tanto ha fatto la fortuna di band come Wilco, riemergere in "She is Seventeen" – un vero e proprio balzo in avanti, che però non si traduce nel pieno raggiungimento della maturità (forse anche per l’età dei titolari, chissà) come dimostrano le deboli "I Think It’s Gonna Happen Again" e "Oxygen Tank", quest’ultima però sorretta da una coda tutta distorsioni e feedback che ricorda i Wilco Younghiani di a Ghost is Born.

A chiudere il cerchio il vertice del disco: la sognante, fluttuante "Won’t Be Around no More", malinconia e rimpianto da fine estate, sul crepuscolo di un sogno svanito in una bolla di sapone con la consapevolezza che l’adolescenza non tornerà più. Bene, bravi, bis. Aspettiamo trepidanti la consacrazione di questa band che finora non ha tradito le aspettative ma solo confermato l’indubbio talento.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Giuseppe Ienopoli alle 15:41 del 3 aprile 2020 ha scritto:

Bentornato Paolo! ... mi unisco evidentemente al coro dei tuoi fans, ma preferisco farlo da una lochescion indie folk più confortevole per me rispetto a quelle "metallare" dell'ultima ora.

Atmosfere soft e carezzevoli, tipiche di Avi Buffalo che conoscevo dal loro disco d'esordio ... e poi non ho resistito alla tentazione di inaugurare questa recensione che stranamente era passata inosservata nonostante, se non sbaglio, sia una delle tue prime recensioni.

Percepibili chiaramente le "nostalgie sixties"... autentiche leccornie per il mio palato di inguaribile beatlesiano e dintorni, in tal senso mi sembra che la più fabfour dovrebbe essere "She Is Seventeen" ... resta da stabilire se fa il verso a Lennon o a McCartney ... solo il recensore può saperlo!

Paolo Nuzzi, autore, alle 19:56 del 4 aprile 2020 ha scritto:

Ciao Giuseppe e grazie per aver riesumato questa recensione. Non sbagli, è stata la seconda ad essere pubblicata, la prima fu Bish Bosch di Scott Walker. Vediamo a chi fa il verso, fammi pensare..