A Fleet Foxes - Live 15-11-2008 ai Magazzini Generali (Milano)

Fleet Foxes - Live 15-11-2008 ai Magazzini Generali (Milano)

Premessa: a me il disco dei Fleet Foxes era piaciuto. Non al punto da strapparmi i capelli ma sicuramente lo ascoltavo con piacere, ma alla stessa maniera di tanti altri dischi ed esordi di questo 2008. Tutto il clamore che hanno suscitato mi è quindi parso fin da subito un tantino esagerato; certo non scandaloso, ma esagerato sì.

Vedere dal vivo un artista (o band) è però un’altra cosa, che rischia di trasformare radicalmente le prese di posizioni. È capitato al sottoscritto con i Dr.Dog, che su disco forse mi erano piaciuti ancora meno dei Fleet Foxes, e che dal vivo si sono trasformati, mostrando una vena istrionica ed energica debordante.

Cosa ha portato quindi in saccoccia il ritorno dall’esibizione del gruppo di Seattle, una delle rivelazioni pop dell’anno?

Ecco iniziamo dicendo che il cronista si vergogna di essere arrivato clamorosamente in ritardo e di essersi perso l’apertura di J.Tillman, batterista dei Fleet ma anche songwriter già dal 2004. È probabile comunque che non ci siamo persi il futuro del rock.

Arriviamo comunque in tempo per l’inizio dei Fleet e la sorpresa è subito data dall’enorme mole di gente presente. Centinaia di persone che sembrano sbucate fuori dal nulla. Poi ci penso un attimo e mi rendo conto che è sabato sera. Ok, ma da qui alle cinquanta che si trovano abitualmente ad altri eventi “sotterranei” (o semplicemente alternative) ce ne passa.

Ad ogni modo parte l’esibizione. I Fleet Foxes sono cinque ragazzi tutti perfettamente addobbati in stile hippy 60s. Capelloni un po’ lunghi, un po’ alla Beatles, un po’ disordinati; barbe incolte e abbigliamento in stile Nashville completano il biglietto di presentazione. Le canzoni invece, beh pure quelle sono squisitamente ‘60s, barcollanti tra Beach Boys e CSNY soprattutto. Revival spudorato e per nulla originale insomma. Ma chi se ne frega no? Che giusto qualche giorno prima era capitato di incrociare i Dr.Dog che avevano pressapoco le stesse caratteristiche di partenza e ne era uscita fuori una serata godibilissima e per certi versi inattesa. Ecco ci terrei a tenere questo paragone con i Dr.Dog perché credo sia indicativo per capire cosa mi turbi tanto dell’esibizione dei Fleet Foxes. Allora partiamo dall’aspetto e dall’attitudine: i Dr.Dog una manica di caciaroni tipicamente indie che suonano per divertire e per divertirsi. I Fleet Foxes invece pare che ci tengano a mostrarsi come una prosecuzione diretta dei 60s. Per loro è come se quarant’anni di musica e moda non siano esistiti. Soprattutto suonano credendoci, con una passione e una fede straordinari. Come se oggi fossimo ancora nel clima del ’68, con la rivoluzione nelle strade e “l’immaginazione al potere” urlo prediletto della società. È una cosa che può far emozionare (e infatti il successo ricevuto dal pubblico è enorme) ma che al sottoscritto non può che intristire, perché il gruppo sembra completamente fuori dal tempo, del tutto anacronistico e incapace di interagire con la realtà presente. Il loro ardore e il lirismo sono fantastici ma non sono adatti ai nostri tempi. Paradossalmente credo che oggi non ci sia posto per “nuovi eroi” impegnati sullo stile di un Bob Dylan qualsiasi. Perlomeno non c’è posto per quelli che non vogliono o non riescono ad aggiornarsi ai problemi attuali. In Italia ne abbiamo avuto una dimostrazione anche recentemente con la scomparsa della falce e martello dal parlamento.

Ma passiamo ad esaminare la musica: il concerto, bisogna dirlo, è impeccabile. Anche troppo forse. Come hai ascoltato i pezzi su disco così ti ritrovi a sentirli dal vivo. Il che significa che non hanno usato trucchetti in studio (e quindi quelle voci e quei cori incantevoli sono tutti veri). Allo stesso tempo però ci si chiede se a questo punto non si poteva restare a casa a sentirsi l’album dallo stereo. Nessuna trasformazione di rilievo insomma. Se i Dr.Dog suonano pop su disco ma rock dal vivo i Fleet Foxes sia da una parte che dall’altra sembrano i cugini dei CSNY.

Suonano più di un’ora tutto il loro repertorio scherzando e chiacchierando spesso con il pubblico che ricambia con applausi e gridolini. Le canzoni sono belle ovviamente, ben curate e tutto quanto, eppure questa vocalità onnipresente alla lunga diventa motivo di fastidio, quasi di noia. E si ha la sensazione che in realtà per tutta la sera i Fleet Foxes non suonino che una sola canzone, peraltro impeccabilmente.

Il clou del concerto arriva con il primo bis, quando il leader Robin Pecknold torna da solo e si avvicina il più possibile al pubblico dal palco, cantando a squarciagola senza microfono e suonando la chitarra acustica senza uso dell’ampli. Nella sala si crea (con un po’ di fatica a dire il vero) il giusto silenzio per godere ogni dettaglio dell’evento inatteso. In effetti è stata un’iniziativa bella e sorprendente, una cosa che al sottoscritto non era mai capitato di vedere. Ennesima dimostrazione del carisma travolgente del cantante-chitarrista, che non avrebbe per nulla sfigurato sul palco di Woodstock a lanciare i suoi messaggi di pace e amore per le masse gioiose.

Il resto è storia. E di storia ce n’è tanta nel locale, come confermano le numerose teste pelate che vedo scorrere verso l’uscita a fine concerto. Tanti cinquantenni e sessantenni che han vissuto il ‘68. Qualcuno lo senti dire “oh finalmente un po’ di musica!”. In quarant’anni la musica è andata avanti, ma questi simpatici vecchietti probabilmente non se ne sono accorti. Oppure è solo la sensazione che ti danno i Fleet Foxes: quella di tornare direttamente indietro nel tempo, non solo a livello musicale.

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Marco_Biasio alle 13:39 del 30 dicembre 2008 ha scritto:

Anch'io sarei curioso di vedere i Fleet Foxes dal vivo. Il loro esordio mi piace, pur condividendo in toto la tua linea di pensiero, ovvero gradevole ma nulla di imprescindibile. Se scrivi che la resa live è buona, nonostante su disco sembri evidente l'uso di sovraincisioni (soprattutto per quanto concerne i cori wilsoniani), la curiosità sale (ma pure "Heard Them Stirring" sono riusciti a farla bene?). Unico appunto, la noia, e qui leggo che si casca male. Non c'è niente da fare, se un concerto mi diventa noioso m'incazzo. Sarà perchè ho un background molto più "rock" che folk in senso stretto, e mi piace essere coinvolto in ciò che ascolto.