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7/10

Avi Buffalo

Avi Buffalo

Eccolo. Lo si aspettava al varco. L’esordio fresco da gustare en plein air con l’arrivo della stagione estiva. La band giovanissima e un poco provinciale che si affaccia con l'entusiasmo dei post-adolescenti in un mondo nuovo (il successo! pitchfork! la notorietà via web!) da prendere di pancia, con una naïveté contagiosa. Ed è arrivato, puntuale, dalla California, via Sub Pop. Loro si chiamano Avi Buffalo, dal nomignolo del loro leader, Avigdor Zahner-Isenberg, 21 anni e tanto amore per gli anni sessanta. Sono in quattro, e questo è il loro momento ok.

Il disco, bando all’hype, è in effetti una prelibatezza. I dieci pezzi si muovono all’interno di un indie-pop folkeggiante molto sixties e dalle venature psych, come gli Shins e i Fleet Foxes fotografati mentre sorridono ai Beatles. L’impianto e i riferimenti sono iper-classici, ma vengono rivitalizzati da un gusto per gli arpeggi labirintici e le trame chitarristiche sinuose e puntinate tutto ’00. L'esito finale è una colorata miniatura guitar-pop che riprende motivi antichi ricamandoli con un tocco di vivace sfrontatezza: su prati color pastello, allora, si distendono cascatelle e rivoli armonici lussureggianti, coretti freak e birichinate da folletti, mentre le tastiere di Rebecca Coleman, i cori e gli overdubbing vocali creano echi leggermente drogati. Da trip in giardino.

A orchestrare il tutto ci pensa la voce di Zahner-Isenberg, stridula e impertinente, un po’ MGMT (moltissimo, ad esempio, nella tossicomane “What’s In It For”), un po’ Band Of Horses, a orientare le atmosfere verso lidi giocosi, anche nelle torch-songs più sentimentali (“Jessica”, che è anche auto-caricatura). Così, ancora, nella balzellante “Summer Cum”, dove la batteria sottopelle e gli incroci di chitarra e tastiera tessono una tovaglia da pic-nic dalle fantasie sgangherate (Chad VanGaalen!).

Ed è consolante sentire come gli Avi Buffalo non si prendano sul serio, ma amino anzi viaggiare su frequenze deliziosamente inconsistenti (“Truth Sets In”, ossia gli xx stornati al folk) o talmente primaverili da ricreare un parco-giochi via musica: splendida “Coaxed”, in cui le note di piano e chitarra disseminate a pioggia sono puro fonosimbolismo, soprattutto nel finale, dove sembrano ricreare (con l’aiuto dei fiati) versi di uccelli. Presenti i Clientele? Bene, togliete il loro sfondo autunnale e piazzateci un maggio trionfante. Addirittura caraibico (la coda di “Five Little Sluts”), per quanto sempre americanissimo: “One Last”, duetto retrò di folk pop in odore di americana, è un piccolo cammeo rootsy fuori dal tempo, ma geograficamente tutto yankee. E alla fine ci si può unire al sing-along della ballata vintageWhere’s Your Dirty Mind”, all’urlo di «too much time to die, and I don’t wanna die».

Se la vostra sensibilità musicale non è già stata anestetizzata e resa cinica dagli impicci quotidiani, qui troverete un piccolo giardino chiuso in cui godere a piene orecchie. Aspettare al varco valeva la pena.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 6 voti.

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hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 20:01 del 25 maggio 2010 ha scritto:

al primissimo ascolto, appena Isenberg ha attaccato a cantare, mi è fiondata davanti "weekend war"! i paragoni con la scena indie-folk tinta di psichedelia credo siano calzanti, unita secondo me ad un'immediatezza pop davvero squisita, che mi ha ricordato subito i Primary 5. disco piacevolissimo quindi, di una leggerezza ben modulata, con tante belle idee sparse qua e là (i folli coretti di "what's in it for", la coda di "five little sluts", il primo fraseggio batteria-chiarre di "remember last time" - dal retrogusto "no depression"... magari Bandit è daccordo ! - e il successivo, di stampo "classic rock", ad esempio). "five little sluts" il brano migliore. Bravo Francesco, come sempre!

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 11:59 del 13 luglio 2010 ha scritto:

Finalmente ho avuto tempo di ascoltarlo. Effettivamente è proprio un bel disco. I riferimenti a shins e fleet foxes sono azzeccatissimi. Io ci sento anche i Rem, quelli dei primi '90, soprattutto nel suono della chitarra (What's In It For? = Near wild heaven). Ma si sa, Peter Buck ha fatto davvero scuola...

Bella recensione, ovviamente

REBBY alle 8:57 del 5 agosto 2010 ha scritto:

West coast contemporanea frizzante ed eterea,

talvolta impalpabile. Coretti e vocine spesso azzeccati ed in linea con il gusto del momento,

dominanza di strumenti acustici, ottima tecnica

chitarristica, qualche assolo melodico di elettrica e qualche "invenzione sonora"

interessante. Esordio piacevole e promettente. Gli

amanti del genere dovrebbero apprezzare.