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R Recensione

7,5/10

Brimstone

Mannsverk

Quando ancora si chiamavano The Brimstone Solar Radiation Band (un filino troppo impegnativo, ne converremo) scrissero ed incisero un disco-miracolo, variegato e sublime sposalizio tra le armonie corali dei Beach Boys, la solidità merseybeat dei primi Beatles, i Motorpsycho pop d’inizio Millennio e, qua e là, scorie di un novantiano passato, sudato e frustrato, muscolare ed introverso. Lo chiamarono “Smörgåsbord”, come il tipico buffet nordico self service a base di piatti freddi e caldi, perché proprio non ci sarebbe stata indicazione migliore. Manco a dirlo, in Italia non se ne curò praticamente nessuno. Come nessuno, ad oggi, sembra essersi interessato a quanto c’è stato dopo: l’asciugamento del monicker al solo Brimstone (quasi più minaccioso del consentito), cinque anni per assemblare nuovo materiale ed il rilascio, a marzo, di questo “Mannsverk”, quarto full length per il quartetto di Bergen. Sarà norvegiocondiscendenza, necessità di aggiornare la ventura top ten, desiderio di spargere la voce su un grande lavoro: sarà. È quantomeno singolare che, in un mondo dove Steven Wilson viene considerato un genio e quel che rimane dei Goblin riesce a suonare al Roadburn (giusto per citare i due aspetti del “vecchio”: quello deteriore e quello affascinante), un gruppo così rodato ed inventivo non riceva alcun feedback. Ci penseremo, allora, noi, nel nostro piccolo.

Scrivono gli stessi Brimstone di essere tornati “meaner, leaner, hungrier and proggier […] than ever”. Dei quattro, solo gli estremi prendono forma nell’avanzare tecnico e compassato di “A Norwegian Requiem”, dove le chitarre ovattate di Buckethead, melodicamente arzigogolate e in equilibrio perennemente precario, turbinano incessantemente nel mulinare di colpi della sezione ritmica (a tornare in mente sono gli alfieri del neo-prog scandinavo Elephant 9). La storia, insomma, sembrerebbe quella della solita, smisurata ambizione che frustra le pur valide intuizioni, erigendo loro attorno mura troppo impervie per essere scalate: e la pompa, quella strumentale, effettivamente non si sgonfia, ma muta pelle, trasformandosi in una malinconica fanfara arrangiata per fiati e clavicembalo. Alle tastiere space che patinano di un’ostinata (e un po’ tenera) autoreferenzialità vintage gli incastri scombinati di basso e chitarra in “Rubberlegged Man” pare vada peggio: il brano, tuttavia, vira nuovamente nella sua seconda metà, intrappolando il cantato vagamente melodrammatico di R. Edwards (come dei Radiohead venticinque anni prima di “Ok Computer”) in una ragnatela indie rock. Si coglie la coerenza e l’unitarietà dell’evoluzione quando, poco oltre, l’animale funk di “Voodoo” (impreziosita da solismi chitarristici hard rock suonati in dinamiche praticamente jazz, similarmente ai Bushman’s Revenge) si stempera in uno stornello brit-folk del tutto inaspettato.

La fantasia di “Mannsverk”, allora, non incontra più barriere, non conosce più limiti. Può capitare di confondere il tocco di Thomas Grønner (dinamico, fluidamente sparigliato in micro sequenze, malleabilissimo) con quello di Kenneth Kapstad dei Motorpsycho, mentre i sodali intonano l’imeneo che gli Yes non hanno mai scritto per Brian Wilson (“Flapping Lips At Ankle Height”, o del call&response gospel in tempi dispari). A spezzare il ritmo, prima della densa doppietta finale, c’è una perla alt-folk come “The Giant Fire”. Infine. “Sjø & Land” è una magistrale suite appoggiata su eteree melodie per Hammond e corposi bassi che, tra White Willow e Fleet Foxes, cresce esponenzialmente, scaricandosi in una coda di trascendente magnificenza armonica. “This Is The Universe” saluta con sfarzo, retrodatando ulteriormente la genealogia: Greg Lake accenna qualche passo di flamenco in un ribollente calderone prog-jazz (mutevole, ma sempre impeccabile, l’alternanza di toni e nuances) dove tutto suona al proprio posto.

È retromania, ed è meravigliosa.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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ciccio 8/10

C Commenti

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Utente non più registrato alle 15:15 del 19 dicembre 2014 ha scritto:

Disco decisamente interessante, per chi ha nel cuore il prog anni '70, la ricerca del suono e la tecnica al servizio della forma canzone.

Se l'ottimo Smorgàsbord si abbeverava ssoprattutto alla psichedelia e agli anni ’60, Mannsverk invece è puro prog anni '70.

La band anche in questo nuovo lavoro si è impegnata in una rilettura personale dei Maestri, con il medesimo gusto nel comporre soluzioni articolate e coinvolgenti sempre con una grande freschezza e rileggendo la lezione in chiave moderna.

Una band semisconosciuta, magari non all'altezza dell'incontrastato SW, ma che dispone di enorme talento.

swansong alle 18:01 del 19 dicembre 2014 ha scritto:

Preso nota della segnalazione Marco! Mi sembra un suggerimento mooolto interessante! Tuttavia non ho capito le velate "allusioni" wilsoniane. Posto che io sono fra quelli che lo considera (impropriamente? Non saprei...) un genio, ma che, parimenti, non può nascondere, a sé stesso prima di tutto, che lo preferiva nei PT (almeno sino a FoaBP incluso), non capisco, dicevo, cosa c'entri l'antefatto (i Brimstone prima non se li filava nessuno) del tuo ragionamento, con la chiusura e l'accostamento a Goblin e SW (il "vecchio..affascinante/deteriore"). Mi spiego, anche Wilson, all'inizio, non se lo filava nessuno (ho assistito, sula metà dei '90, a concerti dei PT con presenti non più di 50/60 persone, ed i loro dischi erano merce rara e di scambio fra collezionisti), poi, fortunatamente, il nostro ha "preso il volo" e adesso è un musicista (produttore, arrangiatore, mixatore, factotum..) che, forse anche con un pelo di sovra-esposizione ed una bulimia artistica non sempre pari alle sue qualità/capacità (il progetto Storm Corrosion potrebbe essere un esempio), sta raccogliendo meritati consensi e successo, mantenendo, questo almeno il mio parere, una peculiarità artistica che rende i suoi lavori e la sua mano da produttore, riconoscibilissimi ed unici nel panorama meta-rock mondiale. E questo aspetto lo rende unico.

Tutto ciò per dire, che, in fondo in fondo, mi auguro che anche i qui da te ottimamente recensiti Brimstone (gli scandinavi, in generale, hanno ben poco da imparare quando imbracciano uno strumento, qualunque sia il genere che propongono!) seguano il percorso artistico/commerciale di SW, arrivando col tempo alla notorietà che si meritano e, magari, facendosi produrre il loro prossimo lavoro da "sua maestà"! Pace e Buon Natale!

Utente non più registrato alle 15:01 del 20 dicembre 2014 ha scritto:

Ma ti ricordi quel concerto dei PT al Transilvania di Milano con gli Anathema come gruppo spalla?...

A proposito di scandinavi, potresti procurarti

Ritual - Ritual (1995)

Ritual - Think like a mountain (2003)

Esbjörn Svensson Trio (E.S.T.) - Tuesday Wonderland (2006) che, nonostante siano un gruppo più orientato al jazz,

hanno forti contaminazioni in ambiente rock, tipo post-rock, elettronica...

Utente non più registrato alle 14:27 del 22 dicembre 2014 ha scritto:

...o Pioneers l'ultimo dei grandissimi Siena Root (ricordi???!), assaggino...

Utente non più registrato alle 21:56 del 22 dicembre 2014 ha scritto:

...e vogliamo parlarne (si fa per dire...) di City Of The Sun dei Seven Impale, forse il miglior debutto dell'anno...

swansong alle 14:24 del 27 dicembre 2014 ha scritto:

Siena Root...11.03.2015 - IT Padova, Circolo Mame...ma che ve lo dico a fa'!!!!!

Utente non più registrato alle 17:54 del 5 gennaio 2015 ha scritto:

eh eh eh... tu avresti l'opzione nello stesso giorno di andarti a rivedere gli archive a BO, io (come da avviso...) vado assolutamente a vedermi i Siena Root...

swansong alle 12:00 del 7 gennaio 2015 ha scritto:

Nooooo!!!!! Cazzoooooooo!!!!

Porc putt...o troppo o niente!

Marco_Biasio, autore, alle 11:42 del 24 dicembre 2014 ha scritto:

Niente di più che un pizzico di sana polemica, swan, alimentata da personalissime e pertanto discutibilissime convinzioni personali. Quanto dici, peraltro, ai miei occhi ingigantisce il paradosso attuale: il Wilson migliore, degli anni '90, ha conosciuto lo stesso, misero feedback dei bravissimi Brimstone di oggi, laddove il consumato mestierante di oggi (ma non ho intenzione di tornare per l'ennesima volta sempre sullo stesso discorso...) riscuote un consenso sproporzionato rispetto ai reali meriti. D'accordo comunque con VDGG sulla valutazione distinta di Smorgasbord (il loro disco sessantiano, pieno di fantastici pezzi pop psichedelici) e questo Mannsverk, teso, muscolare, tecnico e molto raffinato.