Tim Buckley
Starsailor
E' bene dirlo subito, quella di Starsailor è una musica inavvicinabile. Perché è un eterno tramite, una consapevole espressione dellarte musicale intesa nella totalità delle sue diramazioni e delle sue rappresentazioni; è il fluire della paura irrequieta poggiata sullintima umanità del silenzio.
Il disco appartiene a quel tempo storico dove il magma caustico del free jazz aveva contribuito a nuova ispirazione per il rock colto, suggerendone lestetica delirante di armonie e arrangiamenti alieni; Starsailor nasce come linflusso sul rock della musica iconoclasta di figure come John Coltrane e Ornette Coleman, gli artefici di quel sound scapestrato e ondivago, flusso sonoro aggressivo che invade e fugge via.
Cosa girava in quel periodo attorno a Tim Buckley? Cera il lirismo obliquo di Bob Dylan ,ok, cerano le acidità drammaticamente morbide della California di Grateful Dead & Jefferson Airplane, cera il progressive meno elfico di stampo frippiano ( che paradossalmente finiva per standardizzare i puntuali momenti di vuoto/pieno silenzio/rumore, atonalità effimere e batterismo tremolante ) , cera il jazz rock inglese onnivoro perfetto. Mancava però quella poetica della paura, dellinstabilità esistenziale, la frustrazione del dubbio, mancava la giocosità sullo strumento più proprio dellessere umano; mancava la capacità musicale di identificare realtà e sogno e di considerare i sentimenti contrari intrinseci ad esse, la stessa fugacità degli stati danimo, il conflitto e la catarsi.
Tim Buckley era la sua musica. Era schivo e timido, ma non era il disincanto di Nick Drake o la serietà di Jim Morrison. Starsailor è così un salto nella complessità dellanima, un pugno in pancia e una carezza sulla guancia, assalto psico-fisico viscerale.
Il disco vede la luce nel 1970, dopo le musiche strabilianti contenute in Goodbye and Hello, Happy Sad, Blue Afternoon, Lorca. E il passo più difficile quello che Tim si accinge a fare per la produzione di un disco che potrebbe speculare sul sound inusuale dei primi dischi, dove chitarre free-folk eteree si mescolano alla voce bluesy,quasi gospel, tra canti smaliziati e abuso di vibrafoni e chitarre inacidite e organi funerei. Laddove Happy Sad e Blue Afternoon tentavano già un allontanamento dalla forma canzone,seppur conservando la sobria leggerezza di uno spirito non ancora lacerato, Lorca si poneva già come esplorazione metafisica del linguaggio sonoro, che diventava spigoloso ed evocativo come mai fu prima,onirico nel suo lasciarsi condurre in divagazioni melliflue dalle cinque ottave di Tim.
Starsailor si pone come ideale sintesi di tutto questo, ma nellessere sintesi del particolare percorso artistico di un uomo, rimane ancora un punto di partenza per chiunque altro, un tramite che non verrà forse mai inglobato da nessuno, inaccostabile per grandezza ed eterogeneità. Eterno, si diceva.
Il disco viene registrato nel settembre del 1970. Segna il ritorno dellamico poeta Larry Beckett, lentrata in campo di una sezione fiati di stampo zappiano (i fratelli Gardner) e della batteria di Maury Baker; la chitarra elettrica è sempre territorio di Lee Underwood, così come il contrabbasso di John Balkin.
ComeHereWoman svela troppo presto la magnificenza del disco: accordi-suspence in un climax ascendente, tambureggiare molesto e pulsioni squilibrate di chitarre, organo plumbeo che sfila insieme al vociare di un cantato messianico; se linizio del pezzo è linvocazione della morte, il proseguo si sviluppa come il rifiuto deciso a essa, una lunga elucubrazione di voce elastica su un rozzo blues alcolico e orpelli di jazz impazzito, un grido che atterra nel vuoto dellesistenza e termina col placarsi dellardore tra le morbide confidenze di caldi armonici di chitarra. I WokeUp sembra schiudersi ai raggi del sole e alla malinconia più sobria; maMonterey è già la seconda discesa nella fisicità del lamento, una libero flusso di coscienza che incolla sussurri e grida, che confina lesagitarsi vocale di Tim a protagonista impetuoso dellintera opera. Scatti,curve a gomito, isterico dimenare ultrasuoni dalle profondità della psiche: Tim Buckley ora fa con la voce quello che faceva Coltrane con il sax. Moulin Rouge riconduce laltalena sonica di Starsailor su atmosfere di placido candore, con il suo incedere sornione da zuccherosa ballata jazz canticchiata come si fa con una filastrocca.
Song To The Siren è semplicemente la perla nascosta dellunderground west-coast: canto damore che si propaga dal fondo del mare, tra echi lontani di voci sognanti e riverberi ovattati e gocce di chitarra. E la sublimazione in tono estatico del sentimento malinconico che trasuda dalla musica di Tim Buckley: Should I stand amid the breakers?/ Should I lie with Death my bride? /Hear me sing , "Swim to me, Swim to me, Let me enfold you/ Here I am, Here I am, Waiting to hold you".
Jungle Fire riprende inizialmente la lentezza squilibrata e dilatata di I woke up, accelerando sul finale con un ritmato blues chitarroso e intriso di strati e substrati di voci cosmiche a vortice,che preparano lingresso alla ennesima gemma: Starsailor è il punto di non ritorno del disco, è un vero e proprio studio sulle prospettive armoniche della voce, che si divide in sedici tracce riprodotte in parallelo,stratificate,asincrone,effettate. Tim Buckley dà suono allUrlo di Munch, ne canta le profondità di campo,la tortuosità delle linee paesaggistiche e la violenza che emana lorizzonte rosso; è una musica che pulsa di morte, di angoscia. Litania sbilenca. Allucinata divagazione vocale. Healing Festival percorre lignoto,ancora, tra riff che san tanto di Black Sabbath e libere divagazioni di sax e voce. Down By The Borderline è il riflusso verso i pezzi più leggeri. Il disco sta per concludersi; la musica, beefhartiana ormai , non riesce ancora a non subire il declassamento dalla voce di Tim Buckley, che segue la tromba in un assolo senza freni. La musica cessa e con essa il sogno che sapeva essere encomio e biasimo; finisce la musica dellirruenza nata su un cuore di fragilità.
Starsailor è inavvicinabile, adesso. Come il suo cantore, che non seppe più trovare lo stessa strada verso lassoluto, come i rari epigoni che si misero umilmente nella scia della sua polvere magica;
e dopo questo disco il declino dell aedo Tim arrivò puntuale come linsuccesso che tanto lo distruggeva, fino allineluttabile destino di un uomo che era solito cantare melodie troppo aliene per essere tangibili,solo pensabili, che sapeva soffiare sul fondo dellorizzonte marino delicate elegie per le sue sirene, sapeva strepitare e dimenarsi per i suoi demoni. Il suo destino si consumò, e leternità gli fu riconosciuta.
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