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R Recensione

7/10

Public

Oracolo

Esce in questo giorni dopo un’attesa lunga due anni “Oracolo”,  nuovo lavoro dei Public - nonché il primo ad avere visibilità certa - dopo che le tracce del disco precedente, “Lunario”, erano rimaste un poco nascoste, reperibili in free download dal sito e supportate da poche uscite live. Nel frattempo la compagine che fa capo a Paolo Beraldo, già cantante e autore dei testi dei Northpole, si è arricchita degli apporti di Alberto Montesarchio, Martino Cuman e Luca Lago, e gli arrangiamenti son divenuti  più sofisticati e imprevisti, grazie a una corposa sessione di fiati, e il pianoforte e l’hammond suonati da Fabio De Min, il quale peraltro attraverso l’etichetta Lavorare Stanca figura qui anche come produttore.

Un titolo ambizioso ed evocativo per un disco complesso per quantità di influenze ed echi che fa risuonare, quasi iridescente, come il caleidoscopio che dà il titolo ad una delle canzoni. Se l’oracolo per definizione è il responso profetico e in parte sibillino proferito da una divinità, mai scelta fu più felice per indicare la quantità di futuri possibili evocati nelle diverse tracce, futuri musicali e contemporaneamente esistenziali. L’oracolo sa anti-vedere, ed è per sua natura ambiguo, interpretabile. Ecco allora che le diverse suggestioni rinvenibili nei brani possono conquistare oppure spiazzare un pubblico impigrito, abituato all’easy listening dell’indie italiano più monolitico e mono-tono. Al piglio cantautorale si affiancano dunque suoni accattivanti, ritmi incalzanti e un po’ ruffiani, con riferimenti che spaziano dal rock al blues al soul, a creare un mood obliquo di sicura presa live, mentre i testi delle canzoni si appropriano di una personalità decisa ma meno declamata, sottile e allusiva, forti della straordinaria capacità vocale di Paolo, che ricama quasi sottovoce e subito dopo affonda decisa, in sintonia complice con chitarre e ritmiche dense e precise.

Le tematiche poi rispetto al disco precedente si distillano, con un fuoco più diretto sul dialogo a due, e l’attualità a volte va a stagliarsi come sfondo, pur vivido, segnando uno scarto netto rispetto a brani di “Lunario” come “Non ci sono matti” o “Grandi aspettative”. Resta intatta l’ironia di fondo, in una scrittura che mai si adagia sulla mera constatazione dello status quo: in ogni testo si aprono spiragli di cambiamento a situazioni di impasse personale o, verosimilmente, generazionale (ma si vorrebbe dire epocale). E la forma interrogativa ricorre assai spesso nei ritornelli, e nei finali, ad evocare un interlocutore e una svolta possibili, ma anche a disegnare ponti sopra terreni franabili o già collassati.  

Tra le tracce più esemplificative delle diverse anime di questo lavoro va di sicuro citata “Tra gli amici”, il pezzo più radiofonico (non a caso scelto come primo singolo), che inanella una serie di istantanee sulla vita di coppia su una ritmica incalzante, fino ad un finale che è come un sasso lanciato: “tra i miei amici / l’amore è compromesso” . La più insinuante “Canto per scongiurare” inaugura invece l’ascolto quasi sorniona, con dei crescendo che esprimono l’urgenza dell’attrazione e la chitarra finale che doppia l’acutezza del richiamo, a far indovinare l’imprevisto dell’incontro. Quasi un preludio, quindi, al momento successivo di una storia d’amore,  disegnato in “Vedi Parigi”, canzone più riflessiva che ripropone le esitazioni di un dialogo (mancato?) il cui ritornello si fa pericolosamente ambivalente, nel momento in cui scivola in un “sostituisco il tuo nome mentalmente”. “Notte caleidoscopica” poi, col basso protagonista nello scandire la strofa riporta il discorso su toni meno intimi, nei quali si esorcizza il gioco al ribasso di un’intera società “a chi offre di meno”, e l’invito o provocazione a “muoversi” appaia questo brano alla successiva “Massacrarsi fino a perdere i sensi”, caratterizzata da una dolcezza cupa ma per nulla arresa, strettamente afferrata alla voce così duttile di Paolo.  

La qualità surreale e visionaria tipica di alcuni tra i migliori brani dei Public trova ne “Il lato magico della strada” un esito felicissimo, grazie anche all’intervento di Fabio De Min, e a una sghemba dichiarazione di poetica  (“e dopo una stagione / ho creduto di comporre la canzone / ma sempre pioveva amaro / sulle mie rime”) che flirta con un ritmo intrigante e scanzonato punteggiato dal piano e dai fiati. E la perdita dei punti cardinali non pare poi così grave, in questa leggerezza conquistata, in questo lato magico, se permette di constatare finalmente, sgravati, che “anche la storia più imperfetta / ha un suo perché / e io so qual è”. Sicuramente da segnalare pure l’originale e azzardato sviluppo di “Nel 2020”, che dopo un inizio quieto solo chitarra e voce - in cui pare venga evocata la rottura di un rapporto - si inerpica in un finale elettrico e dissonante grazie a delle chitarre tanto distorte quanto è beffardo il cantato che le corona.

Se l’ultima traccia, il prezioso ritratto “Storia di una ballerina”, si imprime soprattutto grazie ad un uso raffinato del timbro vocale, che fissa l’immagine nell’apertura finale dei fiati, e rivela un'altra sfaccettatura dell’ispirazione multiforme di questo lavoro, la titletrack si afferma invece come l’episodio più sincopato e a suo modo provocatorio di “Oracolo”. Adamantina, e rapidissima nel suo affermare una volontà precisa, quasi un’epifania, di ricerca ostinata (“quando sei a un punto / di non ritorno […] qualche volta è perseguire / e continuare”) questa traccia può essere letta come la chiave distintiva dell’intero progetto musicale, ma ancor meglio, percepita come viatico da far proprio. Le immagini di movimento che percorrono questi undici pezzi indicano una ispirazione “ostinata e contraria” che nelle molteplici contaminazioni rincorre una sua purezza, assieme alla indiscutibile cura di arrangiamenti mai scontati. Si potrà forse avere da eccepire sulla mancata immediatezza di un lavoro come questo, ma qui si tratta davvero di semplicità raggiunta attraverso un lavoro costante di ascolto della propria voce. Chi ama le semplificazioni, purtroppo, dovrà rivolgersi altrove.

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target (ha votato 6 questo disco) alle 21:46 del 8 dicembre 2010 ha scritto:

Gradevole, e certamente si sente lo zampino di de Min, anche solo, oltre che come produttore, come modello di scrittura (in punta di piedi ma incisiva, un po' asimmetrica). E non a caso qua e là si respira l'aria di Artemoltobuffa ("Il lato magico della strada"), un altro con cui e su cui de Min ha lavorato. Meglio dove giocano sulle sottrazioni ("Massacrarsi...") che dove si fanno più muscolosi. Benvenuta Stefania