A Intervista a Fabio de Min (Non Voglio Che Clara)

Intervista a Fabio de Min (Non Voglio Che Clara)

Chiacchierata telefonica tardo-pomeridiana con Fabio de Min dei Non Voglio Che Clara, nel giorno dell’uscita ufficiale del loro terzo disco, “Dei Cani”, ivi recensito. Disponibilissimo per quanto un po’ febbricitante, Fabio ci racconta un po’ di cose sul disco, su Belluno e su Garibaldi. A voi!

- Allora, eccoci. Intanto complimenti per il disco, bellissimo.

Grazie!

- Certo che l’avete covato un bel po': sono passati quattro anni e mezzo dal disco precedente. Un sacco di tempo. Come mai?

Ci abbiamo messo un po’ perché io inizialmente mi sono preso una piccola pausa e mi sono concentrato su altro. Ho prodotto il disco dei Public e altri lavori. Poi ci sono stati un paio di cambi di formazione (chitarrista e batterista nuovi) che ci hanno rallentato un po’. Intanto ho continuato a scrivere un sacco di pezzi, in modo da uscire appena possibile con il disco nuovo. Da una trentina di brani siamo arrivati a una quindicina. Poi ne abbiamo registrati 14, 11 sono finiti sul disco, 1 su una compilation di Rockit (“Tu, la ragazza l’ami?”, ndr) e gli altri due vedremo.

- A Sanremo!

Mah non so! Non so cosa ne faremo in realtà. Comunque, sì, mi impegnerò perché il materiale rimasto venga in qualche modo utilizzato.

- Sei d’accordo che ne è uscito un disco più pop degli altri, con arrangiamenti più pieni, meno silenzi, più legato e meno spezzato?

L’idea era di fare un disco più immediato, che non significa necessariamente più pop o con ritornelli più orecchiabili. Direi che volevamo fare un disco più grezzo e schietto, sia negli arrangiamenti che nelle canzoni. I pezzi, se noti, sono tutti abbastanza brevi, la voce attacca quasi subito. Ecco, volevamo un disco più diretto e anche più facilmente suonabile dal vivo.

- A proposito di live: date imminenti?

Sì, quest’inverno saremo in tour. Abbiamo appena fatto Milano, prossimamente Torino, Roma e il sud: le agenzie ci stanno comunicando le date man mano che arrivano. Non sono ancora state pubblicate perché non sono ancora state confermate, ma lo saranno presto.

- Avete già qualche idea sulla scaletta?

Mah, sì, suoneremo soprattutto i brani nuovi, che sono quelli che sono nati con la nuova formazione. Comunque di sicuro pescheremo qualcosa anche dai dischi passati, anche se non tantissimo.

- Tornando alle canzoni nuove, appunto, la più immediata è forse “Le Guerre”, ed è strano, visto che nasce da una collaborazione coi Port Royal, che di certo non sono una band immediata. Come è nata questa collaborazione?

Allora, su quel brano ci ho lavorato molto, e a un certo punto stava prendendo un’altra piega, completamente diversa; poi ho deciso che avrebbe avuto una resa più elettronica, ma di un’elettronica analogica, tipo synth fatti passare per dei pedalini e roba simile. Da qui è nata l’idea di dargli un taglio più elettronico puro, col suonato sopra. In realtà il pezzo era già costruito su quelle corde, ma certamente l‘intervento dei Port Royal è stato determinante per conferirgli un certo sapore.

- Il disco è pieno di belle canzoni, soprattutto nella parte centrale. “Gli amori di gioventù”, in particolare, è spettacolare, perché evoca proprio quello di cui parla (sagre paesane, feste patronali). Il brano nuovo a cui ti sei più affezionato?

Forse il brano che mi piace di più in questo momento è “La Stagione Buona”.

- Che chiude il disco con un messaggio positivo, nonostante quel minuto di caos finale...

Sì, esatto. Nel finale tutti gli strumenti vanno in loop ma su tempi diversi...

- Senti, dimmi qualcosa sul titolo del disco. È nato pensando ai cani o agli dei malevoli?

Eheh, diciamo che le due cose si combinano. Ufficialmente il titolo è un complemento di argomento, ufficiosamente ci sta anche la seconda lettura. Poi ce ne sarebbe anche una terza, legata a quanto si racconta nei brani. Cerco di rapportare il protagonista di questa storia con il pensiero e l’etica comuni. Alla fine diciamo che la questione rimane una questione pagana, anche perché siamo in un periodo di monoteismo imperante... Comunque, sì, anche quella lettura ci sta.

- Il cane è un simbolo di fedeltà per eccellenza, come la terra, che in “La Mareggiata del ‘66” dici di amare, contrapponendoti alla ragazza che invece ha bisogno di farsi investire dall’onda. Sembra che ci sia, nel disco, un’antitesi tra chi va e chi resta. Tu ti metti tra coloro che restano, e che restano, nel tuo caso, nel nord-est atroce che conosciamo bene. Ecco, questo tema nel disco nasconde un tuo desiderio di scappare o continuerai a rimanere fedele alla terra?

Guarda, ti dico subito che il posto dove vivo mi piace molto e non lo cambierei con un altro. Mi piace per l’aspetto, diciamo, naturalistico, ambientale: il contatto con la natura, la pace e la tranquillità sono qualcosa di cui ho bisogno. E allora, con gli anni, sono sceso a patti con questa realtà, che è anche, certamente, molto complicata. Belluno è isolata, a due ore di distanza da qualsiasi cosa, le persone sono dure, fa freddo, ci sono pochi spazi, poche prospettive. Però poi con l’età ho iniziato a farmelo piacere, e ora francamente mi piace: ci vivo volentieri. Poi, tra l’altro, scopri che a dispetto della durezza dell’animo bellunese, la gente, che inizialmente è diffidente, poi ti accoglie, e gli immigrati si sono integrati, mentre altre città venete si sono costruite attorno un recinto, con lo scudo in mano. Certo, in questo disco emerge forse più che negli altri il fatto che viviamo in una realtà sociale veramente pessima. Comunque, ormai ho accettato di fare a pugni col nord-est, pur non riconoscendomi nella maggior parte delle persone, nell’andazzo generale e in un certo tipo di pensiero politico ed etico. Nel disco si cerca di raccontare una storia ‘nonostante’ e ‘dentro’ questo contesto.

- Dalla tua realtà 'geografica' proviene anche l’immagine della fabbrica, che torna un paio di volte nel disco?

Sì, vivo in un paese dove metà della popolazione lavora nella stessa fabbrica. Se mi sposto verso Agordo quella percentuale è addirittura più alta. È la realtà che mi circonda.

- A proposito: che mi dici della citazione da Garibaldi contenuta nel libretto («Non voglio accettare in nessun tempo il ministero odioso disprezzevole e scellerato di un prete, che considero atroce nemico del genere umano e dell’Italia in particolare»), che è, tutto sommato, la prima manifestazione di una vena politica, anche se in senso lato, dei Non Voglio Che Clara?

Quando ho scelto quella frase, stavo pensando anche al 150simo anniversario dell’unità d’Italia. Parlando di Garibaldi si trascurano sempre dei dettagli fondamentali, anche nei libri di storia, che certe volte sono davvero fuorvianti. Se ci pensi, è una cosa abbastanza allucinante, ed è sintomo di quanto dice Garibaldi in quella frase, che è attualissima.

- Capita di riascoltare i vostri dischi passati? Che effetto ti fanno?

No, è difficile che li riascolti. Ovviamente ti dirò che qualcosa lo farei in modo diverso, ma con quei lavori resta un legame affettivo fortissimo.

- Alcuni dischi che ti sono piaciuti ultimamente? Ascolti molti dischi nuovi?

No, in realtà ascolto pochissime cose nuove. Non è snobismo, è che sono più catturato dalle cose vecchie. A volta mi capita anche di comprare dischi di artisti che non conosco, con la prospettiva di approfondirne la conoscenza. Ultimamente ti posso dire che ho comprato “Neon Bible” degli Arcade Fire, “Close to the Edge” degli Yes, che mi piace molto, e sono curioso di sentire il nuovo di Neil Young, che è una delle mie passioni da sempre. Ecco, diciamo che non amo molto ascoltare i violini.

- Beh, non resta che augurarvi in bocca al lupo (e ai cani)!

Crepino!

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Marco_Biasio alle 22:29 del 13 ottobre 2010 ha scritto:

Bella intervista professò Mi sa che loro prima o poi li ascolterò con calma. E con Clara.

salvatore alle 22:34 del 13 ottobre 2010 ha scritto:

Sì sì, bella intervista fatta ad una persona, bisogna specificarlo, squisita.

Sì Marco, ti garantisco che ne vale la pena. Però tu e Clara, no. Io non voglio che (tu e) Clara