Non Voglio Che Clara
L'amore Fin Che Dura
Ammetto che, dopo qualche ascolto del nuovo disco, il quarto, dei Non Voglio Che Clara, ho fatto tra me e me il giochino che viene spontaneo fare quando una band inizia a mettere insieme un certo numero di album: qual è il più bello? E la cosa veramente bella è che non sono riuscito a darmi una risposta.
Lamore fin che dura prosegue il discorso musicale che Fabio De Min aveva iniziato con Dei Cani (2010), dove, con laiuto (come qua) di Giulio Ragno Favero in fase di registrazione e co-produzione, lintimismo sommesso dei due dischi precedenti si era come aperto, un po grazie allingresso di ricami elettronici, un po grazie a una scrittura meno introversa e meno diffidente verso il pop (mentre ai tempi di Aiuola il boss delletichetta poteva scherzosamente lamentarsi dellallergia di De Min per i ritornelli). E così, qua, su quella china: i piccoli abissi crepuscolari e la schiva malinconia diventano qualcosa a metà tra una farsa indie pop e un dramma borghese con venature grottesche, mentre il piano cede il ruolo chiave alle chitarre, continuano le incursioni dei synth e della batteria spazzolata non rimane che uneco lontana. Adult NVCC.
Ma. Uno: diventare adulti e maturare non significa diventare cinici, e così di sentimento Lamore fin che dura ne spreme da ogni pezzo. Anzi, è forse questo il disco di amori (più che damore) più totale e pervasivo dei bellunesi. Due: aumentare i registri leggeri non significa nascondere il dolore. Un po come nei riferimenti letterari citati da De Min (Carver, Dick) e un po come in certa commedia italiana che alcuni pezzi ricordano, i Non Voglio Che Clara più cantano il quotidiano di provincia, con i suoi tic ridicoli e le sue traiettorie sentimentali, più fanno intuire il tragico di fondo. «Lamore è fin che dura» rima con «poi resta la paura».
E la paura si distende sopra uno degli arrangiamenti più pop della band, e lo fa persino tramite un refrain martellante e orecchiabile che è un unicum nella discografia dei Clara. Appena prima che, tra la raffinata strofa con organo e lo scombussolamento sghembo dei ritornelli, Le Anitre sfoci in una «la la la la la la la» altrettanto inedito. Nel proprio stile, i Non Voglio Che Clara continuano a slittare via dai lidi più strettamente cantautoriali. E così si approfondisce, anche sottotraccia, il ruolo dellelettronica, più efficace nella distonia frastornata de Lescamotage (dove sono distorti e resi ossessivi gli accordi in minore e il senso di fine di un amore) che nella ballad spaesata Il Complotto. Dove poi rimane una nudità quasi assoluta, come nellelegia folk suburbana de I Condomini, le viene data, rispetto al passato, una curvatura meno italiana e più europea («Daria è linganno di ogni condominio che ha le persiane chiuse a mezzo pomeriggio»: potrebbe cantare, chessò, The Tallest Man On Earth).
Ne esce il disco musicalmente più vario ed eterogeneo dei Clara: Gli Acrobati trova un fantastico arrangiamento di trombe e tromboni (i primi Decemberists!), La Bonne Heure va di piano balzante per una noir comedy, La Caccia ritira fuori arpeggi e fiati poderosi, mentre La Sera e Lo Zio, restando nei confini di quel pop italiano dove hanno trovato casa Colapesce o Dimartino, scovano melodie splendide e unaria, soprattutto per la seconda, da piccolo classico, con una netta opposizione cromatica strofa/ritornello che splendidamente rende le diverse facce, sociale e privata, della solitudine devastata che cova il protagonista.
Perché a essersi affinata è anche la scrittura di De Min. I dieci quadretti del disco compongono una galleria da concept (vd. luniformità del titoli), andando a tracciare storie che appaiono però esplose, da ricostruire, piene di buchi. Le crepe e i vuoti che un tempo i Clara mimavano con i suoni e con landamento spezzato e continuamente pausato dei brani ora rimangono tutti nella narratività smangiata dei testi: i tradimenti e gli amori finiti, i possibili nuovi inizi e gli omicidi (due!), le solitudini e i suicidi sono tutti da ricercare e indagare, magari con laiuto delle note che chiariscono, come in un libro giallo, alcuni dettagli dei testi (i titoli dei libri, le marche della birra), senza però renderne mai esplicito il senso complessivo. Che è poi il modo migliore per lasciare spazio a chi legge (e ascolta), e far sì che le storie riescano a dire qualcosa anche di noi.
Con i suoi chiaroscuri e le sue espressioni sempre sospese tra sorriso liberatorio e stretta dolorosa dei denti, un altro disco tra i migliori, come gli altri, dei Non Voglio Che Clara. Che sono diventati, dopo un decennio di musica, un gruppo importante.
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