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R Recensione

7,5/10

Non Voglio Che Clara

L'amore Fin Che Dura

Ammetto che, dopo qualche ascolto del nuovo disco, il quarto, dei Non Voglio Che Clara, ho fatto tra me e me il giochino che viene spontaneo fare quando una band inizia a mettere insieme un certo numero di album: qual è il più bello? E la cosa veramente bella è che non sono riuscito a darmi una risposta.

L’amore fin che dura” prosegue il discorso musicale che Fabio De Min aveva iniziato con “Dei Cani” (2010), dove, con l’aiuto (come qua) di Giulio Ragno Favero in fase di registrazione e co-produzione, l’intimismo sommesso dei due dischi precedenti si era come aperto, un po’ grazie all’ingresso di ricami elettronici, un po’ grazie a una scrittura meno introversa e meno diffidente verso il pop (mentre ai tempi di Aiuola il boss dell’etichetta poteva scherzosamente lamentarsi dell’allergia di De Min per i ritornelli). E così, qua, su quella china: i piccoli abissi crepuscolari e la schiva malinconia diventano qualcosa a metà tra una farsa indie pop e un dramma borghese con venature grottesche, mentre il piano cede il ruolo chiave alle chitarre, continuano le incursioni dei synth e della batteria spazzolata non rimane che un’eco lontana. Adult NVCC.

Ma. Uno: diventare adulti e maturare non significa diventare cinici, e così di sentimento “L’amore fin che dura” ne spreme da ogni pezzo. Anzi, è forse questo il disco di amori (più che d’amore) più totale e pervasivo dei bellunesi. Due: aumentare i registri leggeri non significa nascondere il dolore. Un po’ come nei riferimenti letterari citati da De Min (Carver, Dick) e un po’ come in certa commedia italiana che alcuni pezzi ricordano, i Non Voglio Che Clara più cantano il quotidiano di provincia, con i suoi tic ridicoli e le sue traiettorie sentimentali, più fanno intuire il tragico di fondo. «L’amore è fin che dura» rima con «poi resta la paura».

E la paura si distende sopra uno degli arrangiamenti più pop della band, e lo fa persino tramite un refrain martellante e orecchiabile che è un unicum nella discografia dei Clara. Appena prima che, tra la raffinata strofa con organo e lo scombussolamento sghembo dei ritornelli, “Le Anitre” sfoci in una «la la la la la la la» altrettanto inedito. Nel proprio stile, i Non Voglio Che Clara continuano a slittare via dai lidi più strettamente cantautoriali. E così si approfondisce, anche sottotraccia, il ruolo dell’elettronica, più efficace nella distonia frastornata de “L’escamotage” (dove sono distorti e resi ossessivi gli accordi in minore e il senso di fine di un amore) che nella ballad spaesata “Il Complotto”. Dove poi rimane una nudità quasi assoluta, come nell’elegia folk suburbana de “I Condomini”, le viene data, rispetto al passato, una curvatura meno italiana e più europea («Daria è l’inganno di ogni condominio che ha le persiane chiuse a mezzo pomeriggio»: potrebbe cantare, chessò, The Tallest Man On Earth).

Ne esce il disco musicalmente più vario ed eterogeneo dei Clara: “Gli Acrobati” trova un fantastico arrangiamento di trombe e tromboni (i primi Decemberists!), “La Bonne Heure” va di piano balzante per una noir comedy, “La Caccia” ritira fuori arpeggi e fiati poderosi, mentre “La Sera” e “Lo Zio”, restando nei confini di quel pop italiano dove hanno trovato casa Colapesce o Dimartino, scovano melodie splendide e un’aria, soprattutto per la seconda, da piccolo classico, con una netta opposizione cromatica strofa/ritornello che splendidamente rende le diverse facce, sociale e privata, della solitudine devastata che cova il protagonista.

Perché a essersi affinata è anche la scrittura di De Min. I dieci quadretti del disco compongono una galleria da concept (vd. l’uniformità del titoli), andando a tracciare storie che appaiono però esplose, da ricostruire, piene di buchi. Le crepe e i vuoti che un tempo i Clara mimavano con i suoni e con l’andamento spezzato e continuamente pausato dei brani ora rimangono tutti nella narratività smangiata dei testi: i tradimenti e gli amori finiti, i possibili nuovi inizi e gli omicidi (due!), le solitudini e i suicidi sono tutti da ricercare e indagare, magari con l’aiuto delle note che chiariscono, come in un libro giallo, alcuni dettagli dei testi (i titoli dei libri, le marche della birra), senza però renderne mai esplicito il senso complessivo. Che è poi il modo migliore per lasciare spazio a chi legge (e ascolta), e far sì che le storie riescano a dire qualcosa anche di noi.

Con i suoi chiaroscuri e le sue espressioni sempre sospese tra sorriso liberatorio e stretta dolorosa dei denti, un altro disco tra i migliori, come gli altri, dei Non Voglio Che Clara. Che sono diventati, dopo un decennio di musica, un gruppo importante.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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hiperwlt 7,5/10

C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 12:38 del 31 gennaio 2014 ha scritto:

Al primo ascolto mi sembrava nettamente inferiore rispetto a Dei Cani, ma adesso sta crescendo, regolarmente, costantemente. Il testo de I Condomini sembra scritto da te, peraltro! Ancora qualche altro ascolto e poi voto.

Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 18:26 del 4 febbraio 2014 ha scritto:

Dove sembrano un incrocio tra Colapesce e Dimartino, come in "Lo Zio" e in "Le Mogli", non mi piacciono - anche se musica e testi hanno quasi la dimensione da accompagnamento filmico. Amo invece i frangenti più cogitabondi, come "Il Complotto" e "I Condomini", e alcune cose a parte, come la parata a festa de "Gli Acrobati" (la canzone francese suonata da Beirut), "La Bonne Heure" profondamente "italiana" nell'animo e "Le Anitre", strutturalmente e strumentalmente molto complessa (quasi riarrangiata post rock, chissà come suona dal vivo). Dei Cani mi piaceva complessivamente di più e mi sembrava anche più coraggioso, ma apprezzo i passi da gigante che De Min ha compiuto nella propria scrittura lirica, e qualche soluzione meno ortodossa. That's all

bargeld (ha votato 7,5 questo disco) alle 12:03 del 8 febbraio 2014 ha scritto:

Dei Cani era una perla, sorprendeva anche grazie all'impatto agrodolce di tanta, moltissima, grazia così deliberatamente esposta... questo disco è più "adulto", consapevole, e forse disilluso. Senz'altro è coraggioso, e si insinua molto lentamente, subdolo, nelle orecchie e nel cuore. Il Complotto, dopo molti ascolti, secondo me è una gemma rara, anche La Caccia è splendida. E quello che sta nel mezzo, certo.

hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:24 del 11 febbraio 2014 ha scritto:

Altro, ottimo disco di questo periodo che tratta di amori finiti ("Almanacco del Giorno Prima" di Dente) senza disperdersi in sentimenti troppo estremi ma anche in posizioni ciniche (per fare il verso a Francesco - bravo ad inquadrare ogni cosa). Lucido, insomma, anche per certi giochi lirici illuminanti. Torno spesso su molti pezzi (mai su "Le Bonne Heure", che semplicemente non mi piace), più di quanto accadeva con "Dei Cani" - segno che la scrittura pop dei Non Voglio che Clara è maturata ancor di più. Apici "Le Mogli", "La Sera", "Le Anitre".