Wire
Chairs Missing
Bene, ora che abbiamo decostruito il punk, qual è il successivo passo logico? Decostruire il post-punk, ovviamente! Un compito certamente più arduo, visto che in un certo senso il post-punk è decostruzione per definizione. Bisogna quindi raddoppiare gli sforzi, ed è esattamente ciò che fanno i Wire. La soluzione, però, è più semplice di quanto si possa credere, e proprio per questo molto più intelligente.
Cè ancora qualche traccia alla Pink Flag su Chairs Missing, ma dove questo prende le distanze è la resa sonora. Sonora, non concettuale: concettualmente, i Wire sono ancora i Wire, con le loro paradossali schegge di breve durata (qui mediamente più lunghe) e i loro testi a prova di cacciavite, con la loro solita minimale quantità complessiva di accordi che è quasi indisponente. E questo è ancora un album che fa perno sul senso dellassurdo di chi ascolta, piuttosto che sui suoi ricettori emozionali di base. Quello che cambia è essenzialmente il mood: i Wire scheggiano la purezza aggressiva dellagglomerato chitarra-basso-batteria col sorprendente e profondo suono di un sintetizzatore.
Non che suonino come i Kraftwerk, beninteso: i tedeschi sono molto più accessibili (almeno a partire dal loro periodo commerciale) di quanto i Wire abbiano mai potuto sperare di essere. Dove recuperano è semmai in come riescano ad essere bizzarri, innovativi, intriganti e compositi allo stesso tempo, anche in un album di transizione come questo, il passo intermedio tra le artigliate punk di Pink Flag e il tetro splendore di 154. No, in Chairs Missing è il sintetizzatore che aggiunge allo scheletro immutato (forse meno furente) di Pink Flag un piglio psichedelico e smorto, intriso di agghiacciate atmosfere gotiche, mentre anche i testi si fanno più tetri (immagini di gelo, suicidio, dolore e annegamento infestano il disco): lingresso principale per la new wave.
La longevità di questo disco testimonia anche la sua ricchezza e la sua ecletticità, e prova al di fuori di ogni dubbio che il desiderio di progressione musicale che caratterizzò gli ultimi anni sessanta e i primi anni settanta non era incompatibile con il rush adrenalinico da 45 giri del movimento punk. Ancora una volta, i Wire fanno ciò che se non avessero fatto loro avrebbe fatto qualcun altro, ma lindiscutibile importanza di questo secondo affresco non-sense (Outdoor Miner predice qualsiasi cosa ci fosse tra i REM e i Blur con cinque o più anni d'anticipo, profetizzando anche gli XTC di Drums & Wires) non consente a nessuno di ignorarlo. Se nella vostra collezione manca qualche sedia, qui siete nel posto giusto per rimediare.
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