The Sound
Jeopardy
Storia bella ma sfortunata quella dei Sound : bella perchè si tratta di una delle band più importanti del panorama post-punk britannico; sfortunata perchè mai riusciranno a raggiungere il successo, che sarebbe stato più che meritato. Rimarrà infatti purtroppo la classica band con recensioni a cinque stelle, ma ingiustamente sottovalutata dal grande pubblico, per essere poi parzialmente riscoperta vent’anni dopo (vero Killers e White Lies?).
Formatisi a fine anni Settanta, i Sound si inseriscono a pieno diritto nella scena new wave di Liverpool, che grazie a formazioni come Echo & The Bunnymen, Teardrop Explodes e Wah!, farà rivivere alla città sulle sponde del fiume Mersey un ruolo di primo piano dopo i fasti dell’era Beatlesiana. Il leader indiscusso della band è ovviamente il cantante Andrew Borland, artista dotato di una sensibilità e un carisma non minore a quello di Ian Curtis, e come quest’ultimo anch’egli destinato,ahilui,ad una tragica fine (si suiciderà infatti nel ’90).A completare la formazione ci sono Graham Green (basso), Mike Dudley (batteria), Bi Marshall (tastiere) e Max Mayers (anch’egli alle tastiere).
L’esordio avviene nel 1980 appunto con Jeopardy ed è un capolavoro assoluto: per urgenza espressiva, per capacità compositve, per le atmosfere cupe ma allo stesso tempo romantiche, capace di essere scarno ma allo stesso tempo viscerale, nonchè di racchiudere in sè influenze che fanno sì da non classificare questo disco semplicemente come dark-wave.
L’uno-due che apre il disco è da mozzare il fiato: l’opener I can’t escape myself, che con le sue folate sintetiche e la progressione ritimica reminescente del motorik beat dei Neu! di Hallogallo, richiama alla mente certo krautrock germanico di primi ’70. Magistrale poi l’interpretazione di Adrian Borland che conferisce al pezzo quella sensazione di rabbia inesplosa, di incapacità,che ben raffigura l’impossibilità di fuggire da se stessi, narrata dal testo. E poi Heartland, l’archetipo della canzone new wave, con quelle tre note di synth, la sezione ritmica costantemente in primo piano,le chitarre nevrotiche e le aperture melodiche che caratterizzano il refrain.
Dicevamo che uno dei maggiori pregi del disco (che poi è il pregio che tutti i grandi capolavori possiedono) risiede nella sua capacità di alternare influenze ed atmosfere varie, pur non perdento in compattezza ed omogeneità: ecco quindi convivere vere e proprie sfuriate punk come Heyday a gioiellini a tinte pop che farebbero la fortuna di tanti gruppi odierni come la title-track Jeopardy (la più melodica del disco), passando per infuocati boogie dalle atmosfere ai limiti del glam di World Fail Me, con quelle spruzzate di sax che ricordano tanto gruppi coevi come Psychedelic Furs e Only Ones.
Ma a dominare il disco sono sicuramente quei pezzi dal mood più introspettivo come la rabbiosa invettiva antiguerra di Missiles, con la voce di Borland che cerca disperatamente di farsi strada fra selve di synth e chitarre che gridano vendetta, o le atmosfere plumbee di Hour Of Need, che suona come farebbero Doors e Neu! se si fossero incontrati al Cavern nei primi anni ’80. Ma due sono i pezzi più affascinanti di tutto il disco: il primo è Night Versus Day, allucinato,cupo e con un Borland in versione Iggy Pop di The Passenger, ma se possibile ancora più drogata e sconvolta, drumming metronomico e basso martellante,chitarre e synth impegnati a disegnare spirali ossessive: Funk come lo si suonerebbe in Purgatorio. Il secondo pezzo, posto a degna conclusione del disco, è Desire,song scarna e minimale,caratterizzata dall’inquietante sibilare dei synth, e dalla solita maestosa performance di Mr Borland, un crescendo di passionalità e disperato romanticismo, sciamanico come un novello Jim Morrison nella Gran Bretagna della generazione Post-Punk; forse la più Joy Division del lotto.
Dopo questo splendido esordio, osannato dalle principali riviste britanniche come Sound e Melody Maker,ma sfortunato commercialmente parlando, i Sound daranno alle stampe altri lavori, alcuni anche di ottimo livello come il successivo From The Lions Mouth, ma nessuno di questi saprà più ripetere la magia dell’esordio.
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