Le Orme
Collage
Le Orme sono uno tra i più longevi complessi rock italiani.
Prima di diventare, nel 1971, uno dei primissimi gruppi a pubblicare un disco di progressive rock nello Stivale, nonché un importante punto di riferimento per quel genere musicale, erano stati per alcuni anni autori di un buon beat a tinte psichedeliche, e avevano raggiunto il loro apice con Ad Gloriam (1969), un coloratissimo punto di equilibrio tra il pop e il lisergico.
Dopo aver assistito al concerto storico tenutosi all’isola di Wight, il gruppo rimase affascinato dall’esibizione degli Emerson Lake & Palmer a tal punto da decidere per un cambio di rotta nel loro percorso musicale. La nuova line-up si assestò dunque intorno alle figure di Aldo Tagliapietra (basso, voce, chitarra acustica), Tony Pagliuca (tastiere, hammond, piano) e Michi Dei Rossi (batteria, percussioni); i tre giunsero a questo “Collage” nella primavera del 1971.
Non è difficile immaginare quale innovazione compositiva, quale sconvolgimento stilistico dovette aver portato questo disco nel panorama musicale italiano di inizio ’70, a partire dalla copertina, che sì ritraeva gli artisti come innumerevoli altre del tempo, ma in una maniera talmente disincantata e originale (a torso nudo davanti a un cimitero, con una croce in mano) da farli apparire come tre anime discese dal cielo, candide come la loro musica.
Ma ciò che salta all’occhio più di tutto è la loro indubbia originalità dal sapore mediterraneo, che ha saputo trarre ispirazione dal rock sinfonico e barocco di Nice, Quatermass, ELP senza risultare semplicemente dei cloni come molte altre band dell’epoca che avevano fatto del sound anglosassone la loro principale caratteristica.
L’apertura dell’album è affidata all’ omonima “Collage”, brano interamente strumentale con un epilogo trionfale (a mo’ di inno) caratterizzato da un intermezzo classicheggiante che sta tra il Rondo emersoniano e le sonate per clavicembalo di Scarlatti.
Segue la commovente “Era Inverno”, dalle evidenti sonorità pop-melodiche e intermezzo percussivo dai sapori tribali, con un testo davvero audace per l’epoca.
Famosa anche per le tematiche ecologiste trattate, la successiva “Cemento armato” evidenzia, oltre che un indubbio gusto melodico, le ottime capacità tecniche dei tre, che si manifestano con liberi intrecci nel lungo intermezzo strumentale prima che, quasi magicamente, vada a riallacciarsi il cantato di Tagliapietra. Davvero notevole.
Ma la quintessenza del sound delle Orme è tutta racchiusa nell’onirica “Sguardo verso il cielo”, la “21st century schizoid man” del prog nostrano, che detta i canoni di quel nuovo rock progressivo nascente pur mantenendo la classica struttura canzone: compattezza sonora e preziosismi negli arrangiamenti.
“Evasione totale” è pura sperimentazione che, riuscita o no, indica ottimamente il cammino che il gruppo ha intrapreso: evidente padronanza nei passaggi strumentali, specie nei giochi di moog, aloni psichedelici ben riproposti, ma una resa finale che risulta priva di mordente, e lascia un po’ l’amaro in bocca.
La morbida e delicata “Immagini” riesce ad esulare dal banale pur mantenendo una struttura ripetitiva che fa leva sull’evocativa voce di Tagliapietra e su liriche descrittive e trasognate, come ci vuole far capire il titolo stesso.
Settima e ultima traccia, la triste melodia pop dal finale celebrativo di “Morte di un fiore” ancora risente delle sonorità beat passate, ma forse è stata una scelta voluta, a giudicare dall’analisi del testo che ci parla della tragica scomparsa di una giovane hippie (“hanno detto che per te la musica è finita tra le quattro e le cinque del mattino”). Toccante.
È quindi d’obbligo affermare che decenni dopo la sua pubblicazione, “Collage” suona ancora fresco e scorrevole, e ha ben superato la fatidica prova del tempo.
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