Genesis
A Trick Of The Tail
Il Trucco della coda è uno dei album più riusciti dei Genesis. Ve ne erano daltronde tutte le premesse, stante lenorme voglia di riscatto originatasi dalle vicissitudini del precedente e controverso The Lamb Lies Down On Broadway, la lavorazione del quale aveva progressivamente diviso in due tronconi il gruppo: da una parte il vocalist Peter Gabriel e le sue voglie concettuali, teatrali, spettacolari, dallaltra i quattro strumentisti suoi compagni, restii a mettere in secondo piano laspetto strumentale ed esecutivo rispetto a tutto il resto.
Lequivoco fra le sempre più pressanti vocazioni del cantante ed il frustrato e svogliato assecondamento di esse da parte di tutti gli altri dura lo spazio di quellalbum, poi Peter correttamente toglie il disturbo, creando sì un buco tremendo nella formazione, ma anche tanta adrenalina e amor proprio in chi resta, ben deciso a continuare.
La ventura di ridursi da quintetto a quartetto fa perdere inevitabilmente tutto il carisma vocale e scenico alla proposta Genesis, ma ne rinserra (per ora ) le file strumentali e compositive, per la gioia di chi dal rock cerca primariamente buon songwriting e buone esecuzioni. A mio gusto, questo album piace assai di più del predecessore, il quale non riesce a mantenere tutte le sue ambizioni e soffre del problema sopra descritto.
Nulla faceva poi presagire, ai tempi, che questo battesimo da frontman del batterista Phil Collins (qui ancora a volare assai basso, teso più che altro ad emulare il buon Peter, cercando di ricrearne per quanto possibile lo stile intenso e un poco rauco) preludesse ad una successiva, folgorante ed antipatica carriera da vero prezzemolo del pop rock, ovunque e comunque impegnato a cantare, suonare, produrre, jammare, musicare film e persino recitare.
Dance On A Volcano apre le ostilità ed è una composizione corale, originatasi da un arpeggio alla 12 corde di Mike Rutheford poi degenerante in jam session progressive, con tanto di stacchi furibondi, ritmica dispari, strumenti ora in contrappunto ora in unisono, un poco alla Gentle Giant. Verso la fine scoppia un inseguimento furioso e brillante fra chitarra solista e synth, con Collins che si diverte a riempire e lasciar vuoti gli spazi ritmici creati dallinusuale divisione in 7/4: una di quelle pagine strumental/virtuosistiche che servirà di spunto a legioni di discepoli (Dream Theater su tutti).
La successiva Entangled ci riporta ai Genesis di qualche anno prima, in forza delle sue parti corali e del grande dispiego di chitarre acustiche. La composizione sarebbe tutta appannaggio del chitarrista Steve Hackett, ma il suo socio Tony Banks si inventa poi una corposa ed iper romantica coda di sintetizzatore + mellotron a manetta, spostando latmosfera madrigalesca concepita da Hackett verso nuovi lidi di epicità e drammaticità.
Squonk è un tentativo di irrigidire e sagomare, attorno ad un buon riff della 12 corde elettrica di Rutheford, il suono abitualmente più dinamico ed impressionista del gruppo. Collins è sempre andato fiero della sua prestazione quadrata e risoluta alla batteria per loccasione (à la John Bonham lui esagera, ma non cè da credergli proprio, Bonzo era ben altra cosa). In definitiva, un episodio di media caratura nella scaletta del disco.
Molto meglio la successiva Mad Man Moon, a mio giudizio uno dei capolavori dei Genesis. Vi spopola lincredibile talento di Tony Banks nel guidare le sue dita sui tasti davorio verso sontuose successioni di accordi, dallinestimabile carica romantica ed evocativa. Singolare che tali virtù ed inclinazioni compositive provengano da un signore dal carattere abbastanza scorbutico, ombroso ed introverso, molto meno simpatico e comunicativo della musica di cui è capace. La fuga di pianoforte a braccia che si incrociano, al centro del brano, è un gioiello.
Robbery, Assault And Battery vuole essere qualcosa di più scanzonato, con un testo buffo e la sezione ritmica che si diverte con continui cambi di tempo. Vi spicca un creativo assolo di Banks al sintetizzatore, sul solito break strumentale in sette quarti, decisamente la divisione ritmica preferita dal gruppo quando si tratta di andare in jam session, dopo la gloria acquisita dal primo esperimento simile, ovvero la sensazionale fuga in coda a The Cinema Show, un paio dalbum e di anni prima.
La seguente Ripples vede i due chitarristi del gruppo tornare al centro dellattenzione, per una ballatona preminentemente acustica, molto lineare e alquanto gigioneggiante nel suo ritornello a vele spiegate, alla lunga stucchevole. Hackett si concede qui uno sviolinante assolo, destreggiandosi col pedale del volume per creare continue assolvenze al suono di chitarra elettrica iperdistorto ed allungato dalla distorsione dolce, suo marchio di fabbrica.
Il brano che intitola lalbum è una marcetta pianistica di Banks, vagamente beatlesiana (lato McCartney) nella sua leggerezza e nella sua aria da esercizio stilistico. Niente di epocale ma assai indovinato come stacco ritmico, breve e di passaggio fra le composizioni più ambiziose.
Gran finale con la chiusura di Los Endos: La prima stesura di questa canzone si intitolava Its Yourself ed era un normale brano cantato, con una porzione finale strumentale rarefatta e mistica. Successe a un certo punto che questa coda strumentale venisse ulteriormente sviluppata in jam session, attraverso un massiccio uso delle percussioni, in maniera così convincente che i Genesis optarono per mozzare la prima parte cantata e far diventare il brano solo strumentale.
Nella mia personale classifica della discografia del gruppo, qui siamo al quarto posto. Dopo Selling England , Foxtrot e Nursery Cryme. Lultimo grandissimo album in studio dei Genesis.
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