Stormy Six
Un Biglietto Del Tram
“Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa
d'ora in poi troverà Stalingrado in ogni città.”
Stalingrado
Gli Stormy Six sono una leggenda. Un gruppo che meriterebbe un film, anzi anche due o tre. Invece il gruppo milanese ha dovuto accontentarsi di una visibilità mediatica sempre assai ristretta (per non dire nulla), in un oscuramento che per certi versi prosegue ancora oggi con la scarsità di rivisitazioni della loro affascinante discografia. Un biglietto del tram è il loro quarto disco, e segna il punto di svolta di una carriera, la maturità artistica raggiunta con un’eccezionale intreccio tra piena coscienza politica e raffinata capacità compositiva.
Grande merito di un ispirato lavoro collettivo che vede affiancarsi artisti del calibro di Franco Fabbri (chitarra, voce), Umberto Fiori (chitarra, voce), Carlo De Martini (sax, violino), Tommaso Leddi (violino, mandolino, balalaika, chitarra), Luca Piscicelli (basso, voce), Antonio Zanuso (batteria) e Giorgio Albani come tecnico del suono. Gente che oltre a passare ore ed ore in riunioni politiche, manifestazioni e comizi elettorali ha studiato musica, fatto pratica in conservatorio e poi con il beat; gente che ha studiato i libri di Adorno e Gramsci raggiungendo una piena coscienza artistica e politica, che li ha portati a cercare una non banale fusione tra ricerca stilistico-musicale e testi impegnati.
Non per niente non si trovano due dischi uguali nella carriera degli Stormy Six. Il precedente Guarda giù dalla pianura (1973) era infatti una raccolta di canzoni folk di protesta alla Woody Guthrie; il successivo Cliché (1976) sarà invece uno strumentale dagli influssi più jazzistici concepito per opere teatrali. Non parliamo poi dei dischi successivi, tra i lavori più significativi del progressive internazionale. Un biglietto del tram rappresenta il ponte tra queste esperienze: ancora forte l’influsso del folk (più o meno impegnato) e della West Coast, emergono già abbozzi di strutture progressive e raffinate linee classiche, il tutto calato tra umori nordico-irlandesi (la futura fortuna di gruppi come Gang e Modena City Ramblers) e un’accogliente strumentazione acustica, assai attinente nella riscoperta di un tema popolano e “rustico” come quello della Resistenza al nazifascismo.
È questo infatti il tema conduttore del concept-album, basato sulla rievocazione di eventi e personaggi degli ultimi anni della seconda guerra mondiale in Italia. Eventi storici decisivi per le sorti dell’intero pianeta (Stalingrado) o rievocazioni di piccoli grandi eroi partigiani locali (Dante di Nanni, Gianfranco Mattei). È anche questa una grande capacità degli Stormy Six: quella di saper creare inni esportabili anche all’estero (nonostante la lingua italiana di consueto intralcio) oltre a proseguire quel filone di canzoni di protesta rilanciato nel circuito dell’industria musicale dal gruppo dei Cantacronache (“una canzone per ogni compagno caduto? Sì, facciamolo!” si diceva nei dibattiti interni tra Calvino, Fortini, Straniero e altri), che dopo opportune ricerche nel canto sociale italiano sfonderà con canzoni come Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei.
Il resto lo fa la magia, la capacità di respirare un clima cultural-politico inarrivabile: quello del 1975, anno in cui il PCI vinceva le elezioni amministrative apprestandosi a raggiungere il famoso 34% alle successive elezioni politiche del 1976; ma anche quello in cui le lotte operaie e studentesche proseguivano di pari passo, sull’onda lunga di quel decennio rosso che sembrava non dover finire mai (e che invece troverà termine di lì a breve, preparando il declino della canzone di protesta).
Oggi scoprire un brano come Stalingrado fa un effetto meraviglioso. Non solo per l’eccezionale intreccio stilistico-musicale che alterna perfettamente arpeggi di chitarra e dibattiti infuocati tra violini appassionati, micidiali climax strumentali e continui cambi di ritmo prog mitigati da armonie vocali originali e imponenti nella loro fierezza. È davvero una magia quella che accompagna le preziose sviolinate alla voce di Umberto Fiori mentre descrive bozzetti di vita quotidiana intrecciarsi con la magniloquenza di un decisivo trionfo di coscienze (“La radio al buio e sette operai, / sette bicchieri che brindano a Lenin / e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile, / vola un berretto, un uomo ride e prepara il suo fucile. / Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa / D'ora in poi trovera' Stalingrado in ogni citta'.”).
Un fascino che segue col continuum di La fabbrica, in cui gli arrangiamenti acustici e l’alternanza di ritmi lenti-veloci si combinano squisitamente con sublimi duetti di violini e la voce di Franco Fabbri che alterna un tono magniloquente (“Arriva una squadraccia armata di bastone / fan dietro fronte subito sotto i colpi del mattone / e come a Stalingrado i nazisti son crollati / all'Apreda rossa in sciopero i fascisti son scappati”) ad un cupo realismo (“Grandi promesse, la patria e l'impero / sempre piu' donne vestite di nero / allarmi che suonano in macerie le città”).
Arrivano gli americani spezza l’epicità con arrangiamenti più scherzosi, quasi zingareschi, che lasciano più spazio al racconto vocale. 8 Settembre sfrutta dei violini più sperimentali, le cui dissonanze accompagnano un folk-prog rafforzato da una base ritmica più solida e sguizzante del solito. Languori soffici e delicati caratterizzano Nuvole a Vinca, dai motivi classico-romantici accompagnati da arpeggi leggeri ed un’andatura borbottante.
Dante di Nanni è un’altra ballata epica in cui i consueti gustosissimi assoli di violini inquadrano un testo assai ispirato che immortala per sempre la figura dell’eroico partigiano (“Trent'anni son passati, da quel giorno che i fascisti / Ci si son messi in cento ad ammazzarlo / E ancora non si sentono tranquilli, / perché sanno che gira per la citta', Dante di Nanni.”). Il sapore folk memorialistico è lo stesso in La sepoltura dei morti (dall’incipit vagamente gucciniano), mentre più sperimentali in ottica prog sono Un biglietto del tram e Gianfranco Mattei.
Non riuscitissimo il primo brano, eccessivamente spezzettato e amelodico, meglio il secondo, che alterna ritmo zigzagante, basso borbottante, fraseggi strumentali infuocati e un ritornello vocale che immortala per sempre la figura del professore universitario partigiano (“Gianfranco Mattei, / la tua cattedra e' rimasta la' / Gianfranco Mattei, / la lezione non si perdera'.”). C’è un ultimo aspetto che rende Un biglietto del tram un disco davvero speciale: è il primo album uscito per la neonata casa discografica de L’Ariston, logica conseguenza della creazione de L’Orchestra, una cooperativa musicale che a detta di Fabbri è “nata per garantire l'autonomia dei musicisti impegnati politicamente dall'invadenza propagandistica di partiti e partitini, e per tutelarli sotto il profilo economico e sindacale”.
Praticamente una controstruttura industriale alternativa che permetteva di bypassare il circuito delle majors (pensiamo alle etichette indie odierne…). E pur tra enormi difficoltà il disco, venduto porta a porta, durante manifestazioni e in pochi negozi finisce per arrivare a quota trentamila copie. Un piccolo miracolo per l’epoca, sia per il periodo di crisi discografica sia per la scarsità di promozione mediatica e di risorse per la distribuzione. Merito della magia che circondava quegli anni forse. O forse soprattutto merito di un disco e di un gruppo che sfiorano la leggenda.
Stalingrado e La Fabbrica - http://www.youtube.com/watch?v=9oknpuHdJ4s
Dante di Nanni - http://www.youtube.com/watch?v=XXnEMfoXaCU&feature=related
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