Anna Calvi @ Teatro Grande di Brescia (25/02/14)
Premessa: Agli spettatori del concerto è stato severamente vietato scattare foto o registrare alcunché. Una voce, pochi secondi prima dellinizio, ha consigliato agli astanti di spegnere cellulari e fotocamere; siamo a teatro dopotutto e questa è la prassi. Il fatto non ha scoraggiato qualche anima buona che ha tentato inutilmente, frenata in extremis da maschere particolarmente apprensive, di portarsi a casa un ricordo della serata. Solo nel finale inaspettato (in solitaria con No More Words), il pubblico ha potuto alzarsi in piedi e avvicinarsi al palco, riconducendo il tutto ad una forma più consona per un concerto rock.
Il luogo è comunque straordinario, uno dei Teatri più belli e forse meno celebrati d'Italia, (pare sia stato definito dalla protagonista the most beautiful venue Ive ever seen) e soprattutto la sede ideale per la musicista di Twickenham per rappresentare le luci e le ombre della propria musica.
Poco dopo le nove, l'entrata di Anna è volutamente dimessa. Lei, lady elettrica di hendrixiana memoria, esita un attimo di fronte a tanta meraviglia, per poi lanciarsi a testa bassa nella cavalcata vichinga Suzanne And I. Il volto è impenetrabile durante l'esecuzione del pezzo, non un raggio di sole a illuminarle il viso. A seguire Eliza, ormai quasi un classico, che si muove felicemente tra vocalizzi alla Siouxie e melodramma Orbisoniano. La resa dal vivo è pressoché perfetta. La voce - quella voce è capace di rivestire le canzoni in modo unico, sa farsi gelida e spietata nei pezzi più teutonici o dolce e seduttiva (succede in Cry e Piece By Piece), fino ad arrivare a straziare "come una lama che cerchi il cuore " nella sofferenza sublimata in estasi di First We Kiss e Sing To Me. Il primo thank you (appena sussurrato) avviene dopo quattro cinque brani e resterà uno dei pochi contatti verbali con il pubblico.
I momenti più intesi l'inglesina li regala con l'esecuzione in solitaria di Joan Of Arc, in cui pare prelevare l'anima del pezzo di Cohen per spargerne frammenti sulla folla, sospinti dal soffio operistico della sua voce. Nella sublime Carry Me Over, che parte sinuosa per poi elettrizzarsi, si tramuta in un angelo trapezista sostenuta in cielo da ritmi alla Steve Reich; per poi sprofondare nella seconda parte della canzone, in un incubo cubista, dove artigliata alla propria chitarra, si piega quasi in due e sembra di assistere a una sorta di sabba elettronico. La semisconosciuta A Kiss To Your Twin, rimasta fuori dal nuovo album, parte in sordina, sospinta da un sussurro delicato e si incendia nella parte finale. Unica pecca di un concerto per il resto eccellente, lo strumentale Rider To The Sea, complice lemozione e forse una chitarra non perfettamente accordata, la Calvi pare velocizzare un po troppo la parte finale del pezzo, rendendo pressoché inintelligibili le singole note.
Dopo limmancabile bis, si congeda dal pubblico, ma è solo un attimo; la folla la reclama a gran voce e Anna rientra per cantarci, come dice lei, una ninnananna (No More Words appunto) prima di salutarci. Sfumato lultimo sussurro della nenia, ringrazia timidamente, incredula davanti al tanto affetto tributatole, raccoglie una rosa bianca e scompare dietro le quinte.
Quel che resta nelle orecchie e negli occhi, a fine spettacolo, sono il coraggio e la grazia con cui una giovane donna, armata solo della propria voce e di una chitarra, ha saputo tenere in pugno senza manierismi o ammiccamenti di sorta un intera platea. E permettetemi, di questi tempi non è poco.
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