Eleanor Friedberger
Last Summer
Scrittrice di liriche sempre suggestive e raffinate affidate ad una voce tra le più originali, per quanto non eccessivamente dotata, del panorama pop alternativo, Eleanor Friedberger, l’altra metà dei Fiery Furnaces, ha scelto il momento giusto, al culmine dell’estate, per lanciare il suo esordio solista intitolato, guarda caso, “Last Summer”. Un album di canzoni tout court (e questa è già una novità rispetto ai trascorsi familiari), composte interamente da lei, in cui dimostra di sapersela cavare egregiamente anche senza le cure del fratello maggiore (produce Eric Broucek che insieme alla Friedberger suona la maggior parte degli strumenti). Musicalmente la Friedberger riesce a calare perfettamente la sua personalità eccentrica e mutevole all’interno di un contesto pop più calibrato e circolare, in cui il citazionismo e l’attitudine po-mo dei Fiery Furnaces si sposano con sonorità adulte, un po’ manieriste, elegantemente fm che rimandano ad un periodo imprecisato a cavallo fra gli anni 70 e 80 e ad artisti come Todd Rundgren, Harry Nilsson o i Fleetwood Mac. Periodo che coincide, su un piano meta-temporale, con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza della giovane Eleanor, che si lascia andare, sull’onda dei ricordi e delle impressioni, alla ricerca di quelle estati perdute, trascolorate a pastello tra sogno e sensazione. Come una serie di vecchie polaroid sgranate che scorrono, in lenta dissolvenza, sullo schermo di una cornice digitale.
I brani hanno, in genere, un andamento piano, regolare, puntellato su ritmi scarni e scanditi, chitarre che s’intramano al coperto, ovattate da tastiere sgargianti e perturbanti, cariche di riverberi e di onirica nostalgia. L’asso nella manica, come in ogni buon disco pop che si rispetti, sono le melodie divaganti ed ispirate, interpretate con grande sottigliezza dal cantato fluente e discorsivo della Friedberger, tutto giocato sulle sfumature e sull’espressività dei mezzi toni. L’opener, “My Mistakes”,ne fornisce subito un valido esempio, per come sa coniugare il tepore armonico dei synth (e del bell’assolo di sax nel finale) con una percussività di chiara matrice indie, al servizio di un refrain al contempo soffuso e orecchiabile. Ipnotico è anche il ritornello di “Inn Of The Seventh Ray” col delay vocale che sfuma il passo sghembo da piano-cabaret, dolente e straniante quello di “Scenes From Bensonhurst” ballad per piano e chitarra acustica che beccheggia languida sul basso elastico e rotondo. La varietà di spunti e di accostamenti è una cosa che in casa Friedbberger non manca mai come confermano le sinuosità funky, quasi disco, di “Roosevelt Island”, la tentazione di un ballabile sixties da girl-group di “I Won’t Fall Apart On You Tonight”, la classicità di “Owl’s Head Park”. L’accordion dell’intima e acustica “One Month Marathon” che cesella malinconie crepuscolari in punta di tamburi e l’armonica a bocca di “Early Earthquake” sono due tocchi d’autrice in un quadro di grande piacevolezza e di buon artigianato cantautorale.
Il disco ideale per un’estate su una spiaggia solitaria, ascoltando la risacca dei propri pensieri.
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