Joan as Police Woman
The Classic
Ci risiamo. Non fai nemmeno in tempo a riprenderti dallo stordimento che dischi come The Deep Field, uscito nel 2011, ti danno, che subito un florilegio di fiati, organi hammond, cori celestiali e tastiere vintage ti ributtano al tappeto, estasiante, sentendoti allo stesso tempo cullati dalla dolce voce di Joan Wasser, alias Joan As Police Woman. Sì, proprio lei, l'ex di Jeff Buckley, la protetta di Rufus Wainwright, dal talento cristallino e da una carriera, sì, di appena cinque dischi (compreso l'ottimo disco di cover, denominato, appunto, Cover, che caldamente consigliamo), ma di tutto rispetto.
Eh sì, perché passare da asperità indie colorate di pop di Real Life, al crocevia tra Laura Nyro, Fiona Apple e Joni Mitchell dello splendido To Survive, sino al magnifico The Deep Field, non è da tutti. Ma dove avviene il vero miracolo è in questo The Classic dove Joan raggiunge la maturità piena di un sound a metà strada tra il Philly Sound, la migliore Motown, riletto nè pedissequamente, nè filologicamente, nè alla lettera, bensì rimestandolo a dovere per renderlo proprio, come solo i grandi sanno fare.
Witness, che sembra Aretha Franklin a braccetto con le Supremes, Holy City, così Northern Soul da far quasi impallidire il Modfather, oppure il gospel a cappella, con cilegina sulla torta, Joseph Arthur nella parte del basso della splendida Title Track? Ma cè anche spazio per un Adele accompagnata da Booker T & the Mgs (quellhammond che ti squarcia in due, ne vogliamo parlare?) o in scioltezza una torch song languida che risponde al nome di Get Direct o il philly soul di Shame (provate a stare fermi e non muovere le terga, è impossibile).
Troppa grazia, non fosse altro per la non riuscitissima Good Together, che interrompe il mirabile flusso sonoro, con un non so che di già sentito, forse perché la tira troppo per le lunghe, ancorché un minutaggio ridotto avrebbe potuto ridimensionarla. Ma non bisogna disperare: è in arrivo il capolavoro del disco: quellhook che ti inchioda al tappeto, la ballad soul, via Young Americans (eh sì, il santino Bowie ritorna sul luogo del delitto) che risponde al nome di Stay, quattro minuti di estasi, quella voce che ti sussurra in un orecchio dopo una notte indimenticabile damore e ti fa sentire un dio.
Chiude il programma la malinconica Ask Me, quelle canzoni da pilota automatico che Joan licenzia in quattro e quattrotto tra un caffellatte ed una ciambella, a sigillo di un disco favoloso, la maturità artistica di Joan Wasser, senza ombra di dubbio. Cosa chiedere di più? Un tour, per cortesia. Grazie.
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