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R Recensione

8/10

Anna Calvi

Anna Calvi

Montato a neve come un bianco d’uovo da un chiacchiericcio in continua crescita, insistente ed entusiasta quanto proprio per questo inevitabilmente sospetto, il debutto della talentuosa Anna Calvi giunge infine a spezzare un’attesa pregna di aspettative e conseguenti grandi responsabilità.

Un vero e proprio clima da evento che ben si giustifica con il succoso antipasto servito lo scorso ottobre (la rilettura di quella Jezebel a firma Wayne Shanklin, indimenticato classico dei primi ’50, sdoganato da Frankie Laine e però ricordato dai più per l’interpretazione della Piaf) e le attenzioni ricevute da nomi spaventosamente rilevanti quali quelli di Nick Cave, che l’ha voluta ad aprire i concerti inglesi dei suoi Grinderman, e di Brian Eno, che addirittura partecipa con mani e voce ad un paio di episodi del disco e che, senza moderazione alcuna, ha avuto parole del tipo “è la cosa migliore dopo Patti Smith”. Si aggiunga a questo la fibrillante attività promozionale di un’etichetta prestigiosa (la Domino - il cui ufficio stampa da mesi si frega le mani) e l’entusiastica risposta di praticamente tutti gli addetti al settore e si potrà avere una percezione chiara dell’ indie-fenomeno che, pare (e stavolta io ci scommetterei), fisserà fin d’ora gli standard di un’annata ancora quasi da cominciare.

Anna Calvi è personaggio di intrigante personalità ed inquietante fascino femminino. Italiana se la senti nominare, spagnola se la vedi in fotografia, di provenienza indecifrabile se ascolti la sua musica, è in realtà un’anomala e piuttosto avvenente figlia d’Inghilterra, effettivamente di padre italiano, incline a calienti pose, mise e sonorità flamenco, padrona di un parco sonoro vastissimo che, a dir suo, vede fra le sue influenze tanto Ravel e Debussy quanto Hendrix e Captain Beefheart. Non ci fosse il disco, immaginarlo sarebbe da perderci la testa.

Partiamo da qui: oltre le grazie di uno sguardo incantatore e di una minuta, ma dura femminilità spiccano, ugualmente vistose, sbalorditive capacità espressive parimenti profuse e nel canto e nella chitarra, che altro non sembrerebbero essere se non il frutto di una faustiana compravendita d’anime. Non si spiegherebbe altrimenti una voce che dai concupiscenti pianissimo di No More Words e I’ll Be Your Man passa a scarnificanti scariche blues senza perdere un minimo del suo agio, che si fa bimba incerta alla Cat Power (First We Kiss) per poi riscoprirsi piena d’enfasi e teatralità come un Antony, un giovane Scott Walker o una Diamanda Galás in odore di redenzione (Suzanne And I, The Devil). Non si spiegherebbe una Telecaster suonata in modo mirabile, già con uno stile ben definito tra nudità twangy/western e dissonanze/distorsioni laceranti. Non si spiegherebbe il fatto che piano, basso, violino e organo siano sempre in mano sua, e per esecuzione, e per arrangiamento. Non si spiegherebbe, infine, come tutte queste cose possano concorrere a creare, in questo disco, una rappresentazione nitida di un immaginario cantautorale perfettamente definito, poliedrico e risultante dalla collisione di elementi opposti resi qui complementari.

Rider To The Sea è l’intro perfetta: uno strumentale appena venato di cori, quasi per sola chitarra, fatto con poche ossa di uno scheletro flamenco in aria di deserto. Le tensioni si alimentano appese a bending lunghissimi, si rilasciano in movimenti d’epica morriconiana che farebbero impazzire Tarantino, si addensano e confondono fino a collassare in una matassa che la cascata di note finale sgroviglia meravigliosamente. Porta aperta, dunque, verso un universo in cui, utilizzando un parco strumenti limitato (oltre lei solo un harmonium, un basso e una batteria allentata fino ad increspare le pelli, cui si aggiungono sporadici inserti di piano, organo e violino), Anna mette in fila nove canzoni che sono semplicemente una più bella dell’altra. Il suo linguaggio - prerogativa dei grandi - attualizza magistralmente un classicismo fuori dal tempo. Da qui, dalla comune patria e sì, anche da una delle tante incarnazioni della sua voce, il titolo-spot facile e sensazionalistico di “nuova P.J. Harvey”, senz’altro calzante, ma pure limitante nel circoscrivere l’artista e, probabilmente, suggerito anche dalla co-produzione di Rob Ellis (collaboratore della Harvey fin dagli esordi).

Aderenza alla tradizione, dunque, ma pure grande apertura ad intrusioni di ogni tipo: già marchio di fabbrica, ad esempio, gli obliqui e marziali abusi armonici cha la ragazza piazza regolarmente là dove parrebbe impossibile. Passi lo squarcio satanico in First We Kiss, riordinato in breve dentro una tessitura d’archi o l’equilibrismo nel finale di Blackout, che stride con l’innocua linearità del pezzo, ma la violenza a No More Words, brano rilucente di eleganza divina e sensualità d’altri tempi, fra chitarrine Television e movenze da ultimo tango, pare davvero essere opera del demonio. Che infatti The Devil evoca, in uno degli episodi migliori del disco, attraverso un lamento supplichevole di voce e chitarra liquida che diventa inesorabilmente pretesa e invocazione drammatica.

Ci sono poi una serie di altre rappresentazioni mirabolanti, che vanno dalle pose rock sacerdotali di Desire all’irriverenza di I’ll Be Your Man, sfrontata come un sorriso dietro un dito medio, e fino alla conclusiva Love Won’t Be Leaving, limite superiore e celebrazione di un esordio così ben costruito da essere perfettamente rappresentabile pure in copertina: una sensualità ardente ed antica incorniciata nell’oro, il rosso di una notte d’amore, o del fuoco creativo, il nero di una notte insonne o, ancor meglio, di un sabba infernale.

Un peccato, allora, l’hype estremo che al solito rischia di mortificare un gran debutto alimentando ovvie antipatie congenite. Peccato vero e ben più grave, però, sarebbe perderselo, questo debutto.  

C Commenti

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Filippo Maradei (ha votato 7 questo disco) alle 13:12 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

La ragazza ha talento e merita l'attenzione di pubblico e critica: riesce a districarsi con disinvoltura tra labirinti andalusi, pareti a specchi indie-rock, melodie al sapor di western e fervido lirismo chiaroscurale. Ma la cosa che non mi convince appieno è proprio la voce; per quasi tutta la durata del disco (con qualche eccezione, vedi "Blackout") ho come la sensazione che la Calvi forzi molto il timbro vocale, rendendolo giocoforza meno naturale e più artificiale, specialmente nei gorgheggi urlati. Causa un hype smisurato, e francamente esagerato, un pizzico di delusione me la riservo. Comunque molta buona la recensione, hai sviscerato a fondi ogni minimo aspetto, complimenti.

gull (ha votato 8 questo disco) alle 15:55 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

Lei è già molto più brava di quanto molti ammetteranno mai, anche come musicista (su youtube si trovano alcune tracce live in cui estrae un bellissimo suono dalla sua elettrica: ad Hendrix ci avevo pensato anch'io in effetti).

I riferimenti vocali (a P.J. Harvey soprattutto) io non li vedo così stringenti, anzi la trovo sufficientemente originale.

Trovo banale "the devil", anche, ma non solo, per il tema (il diavolo, sai che due palle ) "the devil, the devil".....ed anche "desire", per i miei gusti, ha un arrangiamento scontato e pomposo a sufficienza per non piacermi proprio.

Ecco, escludendo questi due episodi che proprio non mi piacciono, il resto va dal buono -> all'ottimo -> al capolavoro ("first we kiss" su tutte).

Indeciso tra 3 e mezzo o quattro stellette. Deciderò nel 2013!

sarah (ha votato 8 questo disco) alle 17:42 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

Sono curiosissima....

TheManMachine alle 19:04 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

Vista e ascoltata per la prima volta su youtube settimane fa. A tutta prima colpisce: la voce, il suo modo di suonare la chitarra elettrica, il suo carisma scenico. Infatti appena trovata ho subito condiviso un suo video sulla mia paginetta fb. Riascoltandola sorge il dubbio che non sia un patchwork seppur felice di cose e voci già sentite. Per esempio Diamanda Galas affiora spesso dalle sue corde vocali. Diversi momenti gradevoli comunque in questo disco non c'è dubbio. Il talento però si misura sulla (lunga) distanza. E quindi vedremo. Sentiremo. I miei complimenti per la recensione Paolo, bravo davvero!

Totalblamblam alle 20:48 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

sembra jeff buckely in versione femminile...non la trovate un po' troppo leccata nel sound? non so resto perplesso ma io faccio poco testo sto ormai su altri lidi musicali...sta roba è troppo complessa ghghhghg

SamJack (ha votato 8 questo disco) alle 22:26 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

Lei si...

FeR (ha votato 2 questo disco) alle 22:33 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

una sorta di PJ Harvey per la generazione degli Arcade Fire. La trovo 95% personaggio e 5% musica, pomposetta e montata. Per me un bluff.

ozzy(d) alle 10:47 del 29 gennaio 2011 ha scritto:

Gli Arcade Fire sono come le toghe rosse per Sb, quando c'è qualcosa che non piace spuntano sempre fuori. PJ Harvey intrigante gattina, un onore per questa qua essere a lei accostata, valuteremo.

galassiagon (ha votato 7 questo disco) alle 17:19 del 29 gennaio 2011 ha scritto:

Bello. Influenze dalla psichedelia anni 60 (H.p Lovecraft) al Howe Gelb più scarno ai Pixies più desertici (tipo la chitarra du Suzanne and I), ma anche altro...

polymar1981 alle 9:26 del 30 gennaio 2011 ha scritto:

ieri ho affrontato 2 ore di viaggio in autostrada e come mia consuetudine approfitto per ascoltare qualcosa di nuovo. Anna Calvi è stata protagonista della prima parte di viaggio, in certi momenti le vibrazioni delle sue corde vocali mi hanno riportato direttamente ai ricordi tenbrosi di Siouxsie... e perciò tanti elogi per la Calvi.

bill_carson (ha votato 7 questo disco) alle 12:04 del 30 gennaio 2011 ha scritto:

buon disco

forse se ne sta parlando esageratmente bene, ma siamo difronte ad un bel disco di noir-pop.

il commento sugli Arcade Fire è ridicolo. espressione peraltro mutuata dallo stile di Scaruffi. a me piacciono molto gli Arcade Fire però sono scresciuto nei '90, di quale generazione faccio parte? chiedo lumi, mi sento smarrito.

io penso che ci sia più sostanza artistica in Antichrist Television Blues che in tutto il brit-pop, tutto.

Roberto (ha votato 7 questo disco) alle 18:20 del 30 gennaio 2011 ha scritto:

Eclettismo e virtuosismo vocale accompagnati da sonorità che richiamano ad un immaginario da locale notturno mitteleuropeo durante il periodo prebellico. Un' opera intrisa di atmosfere (e testi) legate ad un certo decadentismo. In "The Devil" ho riscontrato nell' impostazione vocale in alcuni passaggi, delle evidenti analogie con la cantante degli Ataraxia; palesi ed esplicite le somiglianze con Siouxsie in "Desire". Album dall' indubbio spessore qualitativo. Consiglierei però ad Anna Calvi di non scomodare Debussy. . .

FeR (ha votato 2 questo disco) alle 19:12 del 30 gennaio 2011 ha scritto:

Ridicolo? Scaruffi? Ira, non sei nuovo a attacchi personali verso di me. Ma in tutta sincerità non sono molto interessato a discutere con te, manco ho idea di chi tu sia sinceramente. Mi spiace se ti sto antipatico ma un minimo di rispetto per cortesia. Che poi additare al ridicolo e poi uscirsene con commenti equilibrati come "penso che ci sia più sostanza artistica in Antichrist Television Blues che in tutto il brit-pop" è tutto dire.

bill_carson (ha votato 7 questo disco) alle 1:48 del 31 gennaio 2011 ha scritto:

si

la mia era evidentemente una provocazione, le tue sono autentiche stronzate .

Sei un tantino ossessionato dagli AF? Cosa c'entrano con Anna Calvi? Io mi oppongo fieramente ad un certo modo di "ragionare".

Si, quella è una tipica espressione alla Scaruffi, perchè purtroppo funziona così: quelli che dicono di detestare Scaruffi adottano il suo stesso modo di ragionare. Come lui, per esempio, tendono anche a disprezzare o apprezzare una band in base a quello che ne pensano gli altri.

Gli arrangiamenti: è ora di finirla con questa storia da indienerdacci che se un disco propone arrangiamenti molto curati o sfarzosi o sinfonici vuol dire automaticamente che si tratta di merda artefatta. Che se uscisse oggi The Soft Bulletin si direbbe che è "pomposo". Intanto anche creare arrangiamenti è arte, poi bisogna essere un minimo competenti per capire se sotto certi arrangiamenti c'è della sostanza. La stragrande maggioranza della canzoni degli AF funzionerebbero benissimo anche in versione umplugged. Sotto gli arrangiamenti c'è materia prima e come se ce n'è. Purtroppo un altro problema è che gli indienerdacci non han mai preso una chitarra in mano, per esempio.

E' ora di finirla con questo culto del minimalismo.

Il tuo intervento è sembrato ridicolo anche a Gulliver, ma fa niente, sicuramente ho torto io.

bill_carson (ha votato 7 questo disco) alle 1:56 del 31 gennaio 2011 ha scritto:

ps

parli di "generazione degli AF": da chi sarebbe costituita questa generazione? Guarda che il pubblico degli AF è fatto anche di studenti universitari, collegiali e tanta gente che ha superato abbondatemente i trenta. gli idoli dei diciassettenni sono ben altri.

FeR (ha votato 2 questo disco) alle 2:43 del 31 gennaio 2011 ha scritto:

Ira, se il tuo intento fosse quello di costruire scambi costruttivi anziché spalare merda su gente che non conosci, ti renderesti facilmente conto di quanto sia inutile col sottoscritto il discorso scritto qui sotto. Posto che con Scaruffi se il cielo vuole non ho niente a che vedere, mi tiri fuori una pappardella in difesa degli arrangiamenti, gridando all'indienerd che se la prende con i prodotti troppo curati. Ebbene, indovina un po'? Ho appena terminato una recensione mirata al 98% a descrivere gli arrangiamenti del disco e a lamentarmi che l'epoca in cui viviamo pone sempre meno attenzione a questo aspetto, scrivendo testualmente "[...] in un contesto in cui l'alta definizione si ritrova umiliata, in cui qualsiasi cosa provi a stratificare e ripulire i suoni più del dovuto viene messa alla gogna come pomposa". Pensa quindi quanto inopportuno sia il tuo discorso, e chiunque mi conosca un minimo lo sa benissimo, basta aver letto non più di tre-quattro mie recensioni a caso. Stammi bene. PS - Quanto a Anna Calvi, per quanto tu possa accalorarti, pessima la trovo e pessima continuerò a trovarla (per scrittura, arrangiamenti, stile e personaggio).

DonJunio alle 10:50 del 31 gennaio 2011 ha scritto:

Prendiamo atto del fatto che a FeR non piacciono gli Arcade Fire, mentre Kaplan detesta il britpop. Se volete approfondire queste tematiche incrociate c'è il forum, qua si discute del disco recensito, grazie.

paolo gazzola, autore, alle 13:25 del 31 gennaio 2011 ha scritto:

Disco senz’altro mooolto ambiguo e per natura portato a dividere, come già dimostra la varietà dei commenti qui sotto. Personalmente l’ho consumato, cosa che mi capita davvero con pochi ascolti. Da qui, oltre che da una sincera convinzione, il carattere di eccezionalità che ho voluto attribuirgli. Comprendo in ogni caso buona parte delle vostre perplessità (a parte quelle di FeR, che però non sono perplessità, ma strali infuocati e a dir poco ingenerosi): è vero che forza i toni, che enfatizza molto qua e là, che alcuni brani sulle prime lasciano interdetti (a me è capitato con Desire, Morning Light e Suzanne And I, quest’ultima ancora non del tutto digerita); è vero pure che richiama alla mente tutti i nomi da voi citati (Buckley e Siouxie senz’altro, ma anche i Giant Sand calzano, vedi I’ll Be Your Man, e si potrebbe arrivare all’estremo dicendo, ad esempio, che l’intro di The Devil non stonerebbe in un disco dei Volcano!), ma è pur vero che ha carisma sufficiente per affrancarsi da tutti questi riferimenti, imponendosi come semplicemente sé stessa, e che le forzature vocali mi paiono sempre funzionali all’espressione, dunque spontanee. C’è del vero anche nel “suono leccato” evidenziato da Stoke, ma ancora non riesco a vederci un difetto. Ho come l’impressione che se dietro a ‘sta ragazza ci fosse, invece che un tappeto rosso, una storia di lacrime, dolore e autopromozione (chessò, alla Bon Iver), molti incalliti detrattori sarebbero qui oggi a parlare di miracolo. Poi oh, opinioni...

@ Filippo e ManMachine: grazie dei complimenti!

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 13:04 del primo febbraio 2011 ha scritto:

Prime impressioni molto molto positive.

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 10:07 del 2 febbraio 2011 ha scritto:

Innanzitutto complimenti a Paolo. Recensione resa difficile a causa del citazionismo eclettico della ragazza. La prima mia considerazione è che ormai i maschietti è meglio che imparino subito a suonare il basso perchè i guitar-hero son tutte donne, son finiti i tempi nei quali ci si stupiva che Michael Jackson portasse in tour Jennifer Batten. Oggi, tra Kaki King, Marnie Stern, St. Vincent e Anna Calvi, ci stupirebbe il contrario. E qui, come per le colleghe appena citate, oltre la chitarra c'è di più: i momenti semplici sembrano i più efficaci (l'inizio "morriconiano", "No More Words", "Suzanne and I"), altrove ci tiene a farci notare la sua bravura ("The Devil"), in un solo brano (secondo me) appare il fantasma dell'indie-rock "radiofonico" ("Desire" - Arcade Fire meets Patti Smith, fin troppo facile), e a volte pecca di presunzione (l'arrangiamento d'archi di "First we meet" sembra fatto dall'orchestra dei Sanremo!) ma sono davvero peccati veniali in un disco come questo. Ne sentiremo parlare a lungo, per fortuna.

paolo gazzola, autore, alle 10:37 del 2 febbraio 2011 ha scritto:

...sembra fatto dall'orchestra dei Sanremo!

Ecco, pensata la stessa identica cosa. Identica. Avessi più fegato, l'avrei pure detta.

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 11:01 del 4 febbraio 2011 ha scritto:

RE: ...sembra fatto dall'orchestra dei Sanremo!

Ma l'orchestra dei Sanremo cos'è? Ok ok volevamo scrivere l'orchestra DI Sanremo...

simone coacci (ha votato 8 questo disco) alle 12:59 del 4 febbraio 2011 ha scritto:

RE: RE: ...sembra fatto dall'orchestra dei Sanremo!

Quoto Fabio con enfasi. Più ancorata al modello PJ rispetto, ad esempio, ad una Shara Worden che ha raggiunto una focalità di scrittura ed esecuzione che a questa manca. Laddove si distacca dalla punkessa del Dorset arrivano i frutti più saporiti come lo Spector-Morricone di "First We Kiss" (che a me piace), le superbe "The Devil" e "Jezebel", "Suzanne & I" che più che a Cohen fa pensare al recentissimamente compianto John Barry o la bella ascensione corale di "No More Words". Decisamente una che non passa inosservata.

sarah (ha votato 8 questo disco) alle 12:14 del 2 febbraio 2011 ha scritto:

Una boccata di aria fresca.

Mr. Cigarette Butt (ha votato 7 questo disco) alle 16:05 del 9 febbraio 2011 ha scritto:

Finalmente! niente di nuovo ma niente di più genuino al tempo stesso! spero di poterla vedere in italia!

4AS (ha votato 7 questo disco) alle 14:11 del 14 febbraio 2011 ha scritto:

E' palese l'influenza di jeff buckley, soprattutto per certe impennate chitarristiche tipiche del suddetto (riscontrabili, ad esempio, in un pezzo come "The devil"). Ma sottolineerei ancor di più l'influenza di siouxsie (che scoperta direte...) che si sente tantissimo in "Blackout", "I'll Be Your Man" e "Desire", in quest'ultimo la tonalità di voce è molto simile a quella della reginetta del post-punk! Esordio molto convincente, 7,5.

Nucifeno (ha votato 8 questo disco) alle 18:30 del 29 marzo 2011 ha scritto:

Un giudizio?

MENGHIA CHE DISCO!

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 13:27 del 8 aprile 2011 ha scritto:

Hype o meno, questo è un disco intensissimo e per alcuni versi miracoloso. Dove alcune colleghe si limitano a graffiare, la Calvi inocula. E lo fa senza trucchetti di sorta (lustrini o barocchismi assortiti).

daferrara (ha votato 8 questo disco) alle 18:56 del 29 aprile 2011 ha scritto:

adoro questo disco. dopo averlo lungamente continua ad emozionarmi in questo continuo muoversi in bilico tra il paradiso e gli inferi. buonissimo esordio

salvatore (ha votato 5 questo disco) alle 20:56 del 29 aprile 2011 ha scritto:

Qualche spunto interessante c'è (pochini a dire il vero, salvo "first we kiss" e "blackout") ma questa voce caricata a pallettoni non si può sentire, suona artificialissima... Il tutto mi dà sensazione di pochissima personalità artistica.

lev (ha votato 8 questo disco) alle 21:54 del 24 maggio 2011 ha scritto:

hype o no, questo è un disco con i controcazzi!

canzoni solide con pochissimi momenti di stanca. speriamo sia in grado di ripetersi.

Teoteo (ha votato 7 questo disco) alle 23:58 del 29 maggio 2011 ha scritto:

E' sicuramente un album trascinante, dove la Calvi mette anima e cuore.. tutto molto ben incastrato.Promette grandi cose per il futuro.

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 15:54 del 14 giugno 2011 ha scritto:

Un altro ottimo debutto di quest'anno proveniente dall'isola britannica. Talento (sia vocale che strumentale) già più che evidente, vario e piacevole il song-writing e spesso buoni anche gli arrangiamenti (meno a mio parere quando interviene l'orchestra dei Sanremo eheh). Davvero super poi la rece di Paolo.

forever007 (ha votato 8,5 questo disco) alle 9:22 del 20 dicembre 2012 ha scritto:

Struggente e sensuale in ogni sua nota, uno degli album migliori dell'anno: il paragone con la Harvey è ovvio, anche se io preferisco il debutto della Calvi (il primo della Harvey non era così bello), ma la carriera lunghissima e meritatissima della seconda sono difficili da replicare. Comunque le canzoni migliori dell'album a mio avviso sono "Suzanne and I" e "First we Kiss", in particolare in quest'ultima l'ultimo minuto mi fa venire i brividi, mentre la canzone un pò meno forte secondo me è I'll be your man (non mi convince molto) ma complessivamente è perfetto, quasi sembra finto XD