Joan as Police Woman
The Deep Field
Vediamo una Joan Wasser nel cuore di una foresta, tappeto sulle spalle, sguardo rivolto al cielo, vapori dal basso. A metà tra sciamana mistica e dama dei boschi, due anime in una: e c'è raccoglimento vocale soul, e c'è (ri)flessione cantautorale folk. In meno di cinque anni e già al quarto album, "The Deep Field", Joan as Police Woman (questo il suo moniker) sembra quasi aver bisogno di un'ulteriore prova di conferma per le sue doti artistiche; ma credetemi, le aveva già ampiamente dimostrate ("To Survive", 2008).
Uno dei primi vagiti songwriting di questo 2011 è un "Flash" di quelli accecanti, primordiale anche, che si fa strada sulle note tenui di chitarra e basso, dirada nebbia e richiami spirituali, cambia colore, dal bianco al blues, per poi disperdersi lentamente, così come è penetrato, seguendo l'incedere stanco di un sax e qualche percussione. A sorprendere fin dai primi ascolti è la sinuosa eleganza della voce, esibita insieme a un carezzevole piglio soul che dona sensualità a brani come "The Magic", costruito sugli accordi scuri e gorgoglianti della tastiera e in perfetta simbiosi con la connazionale Cat Power, e "The Action Man", in cui emerge in tutto il suo splendore il savoir-faire della voce, in vesti molto erotiche, che impressiona molto per vicinanza a un altro fiore del genere, la Sade di "Diamond Life" ('84) e soprattutto di "Lovers Rock" (primi '00). E nell'incanto totale, proprio la voce, calda, lievemente gracchiata e quasi masticata, sale sul piedistallo di quella che potrebbe essere un'esposizione di bellezza e in "Forever And A Year" raggiunge vertici quasi black; da lassù, solo brividi e vertigini.
Eppure prima o poi bisognerà cadere: e allora, catturati dal buio lirismo sinfonico di "Run For Love", ci lasciamo stregare ancora una volta dalla potenza grave dell'ugola della Joan, ora simil noir, dagli umori trip-hop che pian piano si diffondono, e dagli acuti finali di chitarre. Qualche mezzo passo falso nel funky monocromatico di "Nervous" e nelle eccedenze pop-barocche di "Kiss The Specifics", ma è poca cosa; ormai conquistati da tanta classe ed estro d'arrangiamenti, possiamo solo venire travolti completamente dal crescendo gospel-rock di "I Was Everyone", quasi una "The Great Gig In The Sky" formato indie-rock, che chiude al fil di pathos un album intimamente profondo e carnale, sensuale e spirituale, e forse estremo e trasparente messaggio d'affetto al Buckley innamorato che fu.
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