R Recensione

6/10

Joan as Police Woman

Real Life

Da quando ho ascoltato per la prima volta “River” di Joni Mitchell, tra i solchi di quella delizia di album intitolata “Blue”, ho capito che avrei sentito qualsiasi cantautrice con sospetto, o perlomeno con la consapevolezza di aver già trovato la perfezione – eccezion fatta per Nico, che però sta su un altro pianeta. Ben vengano Tori Amos, Patti Smith e tutte le cortigiane al seguito: la Regina, però, resta sempre la più bella. Di cortigiane ne arrivano un paio ogni due o tre anni, con le valige cariche di promesse, pronte per diventare le fidanzate temporanee di milioni di ascoltatori con gli occhi da pesci lessi.

Adesso è il turno di Joan as Police Woman, ultima tentazione del cantautorato femminile: se si cerca un po’ in giro per la Rete, si scopre che Joan Wasser (questo è il vero nome di Giovanna la Poliziotta) ha un curriculum di tutto rispetto. Polistrumentista e cantante, ha collaborato con Antony and the Johnsons, Rufus Wainwright, Sebadoh, Nick Cave e molti altri; per gli amanti del gossip, pare sia stata l’ultima fidanzata di Jeff Buckley e che abbia (o abbia avuto, chissenefrega) una storia col regista Alex Infascelli. Le riviste indipendenti la trattano bene, su Internet circola molto materiale su di lei…

Detto questo, Joan arriva alla prova solista (d’esordio) con “Real Life”, disco applauditissimo da più parti e che si caratterizza per diversi aspetti: innanzitutto l’impostazione, che riprende (come accennato) il cantautorato femminile, la canzone d’autore, il pop d’autore tout court, ma che viene completata anche da diversi rimandi alla black music (specialmente soul). Da questo punto di vista, più che a Joni Mitchell ci si può accostare a Carole King o alla Tori Amos quando si cimenta nei suoi pezzi per solo piano e voce.

Emblematico è il brano d’apertura, che dà il titolo al disco: pianoforte quasi spensierato, voce passionale (ma non particolarmente dedita a virtuosismi, uno dei difetti di molte cantautrici) e un’intensa ricerca di comunicare il proprio intimo sono gli ingredienti di questa dolce canzone, che si avvale anche di un delicato arrangiamento di violini (strumento suonato da Joan stessa) e che incanta nel finale. “Eternal Flame” tenta un esercizio leggermente più ricercato, con la sovrapposizione di voci e cori celestiali, su un arrangiamento pop impreziosito, più che altro, dal cantato non proprio convenzionale rispetto alla struttura della canzone, piuttosto semplice.Il tentativo, in questo caso, è riuscito.“Feed the Light” è invece ancorato al pop-soul del brano d’inizio, e si tratta di un brano più lineare che termina con dei delicati fraseggi di violino.

La canzone successiva, “The Ride”, rischia di essere l’episodio più interessante del disco: ho scritto “rischia” perché è un brano tutto sommato semplice, e scommetto fin d’ora che Joan punterà proprio su questa semplicità per le sue prossime prove, il che da un lato è un peccato perché puntare su spunti melodici più pensati, spesso in secondo piano nel disco, potrebbe davvero elevare la cantautrice di diversi gradini; d’altra parte, però, le parti più ricercate del disco sono spesso esagerate. “I Defy” è caratterizzata da un pianoforte molto deciso, sul quale s’innesta all’improvviso la voce di Antony, che riesce a fare la differenza da solo. Spogliato della voce di quest’ultimo, il brano è comunque un’elegante prova di cantautorato maturo.

Nella seconda parte del disco spicca innanzitutto “Christobel”, un pezzo decisamente più movimentato che da qualcuno è stato anche etichettato come il migliore dell’album. A mio giudizio, invece, il pezzo emerge dal mucchio solo per la sua andatura tesa, che contrasta con il resto dei brani in scaletta ma, preso a parte, stupisce ben poco. Joan gioca a fare la gattina in “Save Me”, con risultati non proprio esaltanti: la sua voce è molto bella, ma quando prova a fare ciò che spetterebbe fare a Lauryn Hill (tanto per dirne una) la domanda sorge spontanea: non basta Lauryn Hill? Si torna a ragionare con “Anyone”, a dimostrazione che Joan vince quando gioca la sua carta migliore, cioè la semplicità. Il finale è affidato ad un brano dedicato ad Elliott Smith, impostato sulla voce di Joan e su una bella chitarra che con i suoi arpeggi potrebbe far pensare anche a qualche cosa di Lisa Germano.

In conclusione “Real Life” non è un capolavoro, e anzi si tratta di un disco a volte immaturo (come la sua autrice), il che stupisce se consideriamo le frequentazioni e le collaborazioni dell’artista, nonché la sua esperienza “sul campo”. Per cui non mi spingerò ad osannare questa cantautrice, pur apprezzandone la musica. Per ora, “Real Life” resta un buon disco d’esordio, e mi meraviglio nel leggere da molte fonti – spesso autorevolissime – che l’album in questione è già pronto per affrontare la prova del tempo e diventare un classico. Nello scaffale dei classici, lo spazio per i nuovi pseudo-capolavori viene continuamente creato, salvo poi rimangiarsi tutto con molta fretta. Meglio andarci cauti adesso, ché un posticino in mezzo ai capolavori lo si può trovare sempre, senza darsi troppo affanno.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 5 voti.
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george 8/10
giank 7/10

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Alessandro Pascale alle 18:41 del 8 novembre 2007 ha scritto:

certo che per dare a Patti Smith della cortigiana ci vuole fegato. Nonostante apprezzi molto la Mitchell e Nico non reputo infatti che sia inferiore nè per qualità nè per importanza. Cmq gustibus. Ah della tipa in questione invece non so nulla ma a quanto dici non sembra valere la pena di approfondire

carlo nalli, autore, alle 19:46 del 8 novembre 2007 ha scritto:

Ciao Peasy, questo è il mio primo commento sul sito, cercherò di essere più presente. Pur adorandola, credo che Patti Smith sia leggermente inferiore a Joni e Nico, ma naturalmente questo è un mio parere. La reputo sicuramente superiore a Tori Amos, e forse nella mia recensione accomunarla a quest'ultima può aver tratto in inganno. Grazie comunque del commento! C.

prettyvacant alle 22:34 del 14 novembre 2007 ha scritto:

NICO:

alta quanto una quercia e con gli occhi verdi. Basta sapere che è morta cadendo da una bici per adorarla.

george (ha votato 8 questo disco) alle 18:38 del 7 aprile 2009 ha scritto:

ma questo disco su sdm non se l'è cagato nessuno???