Joan as Police Woman
To Survive
Joan Wasser è una che il suo posticino al sole se l’è sudato magari dio. Più prossima agli “anta” che agli “enta” (sull’età di una signorina, come saprete, non sta bene fissarsi), un violinista russo dal nome impronunciabile come maestro d’arme, un fidanzato inghiottito per sempre dalle acque limacciose del Mississippi, quasi tre lustri spesi a farsi il culo nelle backin’ band di Lou Reed, Sheryl Crow, Scissors Sisters, Joseph Arthur, Elton, Antony, Rufus & compagnia “gaia”. Uff, a momenti mi stanco prima io, a furia di ricapitolare.
Poi nel 2006 comincia una nuova vita, la “vita vera”: una piccola band che prende il nome da una serie televisiva degli anni settanta, un contratto di distribuzione con una label inglese, la Reveal, una piccola congrega di amici famosi che si sdebita dei servigi ricevuti confabulando con lei dietro le quinte del debut. Real Life le frutta roventi entusiasmi e arditi paragoni, almeno nel Regno (che strano, eh?) e un po’ ovunque sana curiosità indie e una buona disposizione d’animo. Ora il dado è tratto e lei torna alla carica con To Survive, un disco meno avventuroso, più compatto, più meditato, arrangiato da un’eccellente squadra di musicisti e senza nomi di richiamo a far da specchietto per le allodole (a parte David Sylvian che s’avverte appena fra i cori di Honor Wishes e il duetto con Rufus Wainwright in To America). La cifra stilistica più significativa della musica di Joan è fin troppo evidente: coniugare le progressioni insieme algide e muscolari del lied aristocratico con l’afflato terragno, popolano e i controcanti espiatori della musica nera (gospel e soul in particolare). Innalzare un elogio al potere insieme dannante e salvifico dell’amore, quello che ci consente di sopravvivere al male, alla lontananza, all’oblio.
Talora le riesce proprio bene: Honor Wishes, dall’andatura Tin Pan Alley, l’orchestrazione sobria di un Randy Newman (per soli piano e spazzole) e muggenti corali quasi spiritual; la liturgica To Be Lonely (con quell’anafora insinuante, “This is the…”, forse reminescente di quel capolavoro assoluto che è The Bed) con il violino malinconico che adombra il nitore armonico come uno stormo scuro di passeri attraverso il cielo d’estate; Start Of My Heart, glaciale romanticismo pop wave intercalato da call and response; Furious balletto sintetico a tempo di flamenco, ritmato da strali percussivi d’ebano e d’avorio. Talora, ivece, i costrutti armonici risultano più ovvi, per quanto mai banali, come in Magpies, ballata soul jazz coi fiati in evidenza, nel lied angelicato di To Survive, costruito su un pattern piano/violino ormai ridotto alla lisca (si fa un po’ fatica a non skippare dopo il terzo minuto) o nel lounge operistico di To America, appesantita dalla sfida a colpi di melismi con l’amico Rufus. Qualche concessione all’easy listening, peraltro conservando un profilo sempre molto dignitoso, imperlato, col nasino all’insù, giunge da Holiday, giro di basso quasi dub, ritmica latina e melodia pianistico-vocale fra Billy Joel e Tori Amos; To Be Loved un raggio di sole che bacia la fronte corrucciata di Lisa Germano; Hard White Wall sensuale torch song più rockeggiante anche se acustica nell’impianto.
Non c’è che dire, fossero tutte così le donne poliziotto sarebbe infinitamente più lieve farsi sbattere le mani contro il muro e vuotare le tasche.
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