R Recensione

8/10

Å

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Questo degli Å è stato l’esordio più interessante del 2006 italico. Rappresenta allo stesso tempo il debutto effettivo sulla scena attuale della etichetta Die Schachtel, dedita esclusivamente, prima di questa uscita, alla ristampa di materiale inedito o fuori catalogo di artisti nostrani di stampo avanguardistico-sperimentale.

In particolare, all’etichetta milanese si deve la possibilità di reperire la ristampa di “Dialoghi del presente” di Luciano Cilio, e di “Azioni” del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza.

Gli Å sono un trio molto particolare. Il nome, smaccatamente freak e indecifrabile, è una commistione di significati trasversali,che rimandano a luoghi polari freddissimi,all’ultima lettera dell’alfabeto norvegese, a infinitamente piccole unità di misura. Una dichiarazione di modestia, o se vogliamo di scelte unidirezionali che non contemplano la via di mezzo e il compromesso. Il disco degli Å,in effetti,suona piuttosto anti-convenzionale nella proposta sonora,e poco democratico nel pubblico a cui si rivolge; nessun giudizio di valore rapportato a queste considerazioni,sia chiaro; solamente la doverosa avvertenza di trovarsi di fronte ad un disco che macina suoni e scuote strumenti, costruisce e distrugge armonie, vive di introspezione e di onnivora esigenza espressiva. Ha un’anima evidente, questo disco, che trasuda ogni secondo la voglia giocosa di manipolare la materia musicale,di maneggiare le timbriche di strumenti particolari,di coniugare le ritmiche del rock con la statica elaborazione armonica di linee ruvide.

I riferimenti, molteplici quanto inutili, sono il risultato della musicofilia dichiarata del trio, che ha evidentemente interiorizzato strati eterogenei di suoni, di stili, di cadenze, di atmosfere. Ecco perché sono nettamente derivative quelle batterie pestanti, molto This Heat; timbro potente, pulito, secco, che odora di cantina e di estemporaneità, a supporto di stratificazioni noise. Altrettanto opportuna, quanto inutile, sarebbe la ricerca di analogie con i metodi percussivo-puntillisti di Steve Reich, con gli intermezzi di musica concreta pseudo-kraut, con quel panismo rarefatto che richiama i nomi di Erik Satie e di Keith Jarrett,con la chitarra tremolante del Neil Young di Dead Man di Jarmush.

Raccontare il disco per rimandi e termini di paragone sarebbe sbagliato, non renderebbe giustizia al meticoloso lavoro di ricerca che sta dietro Å. L’urgenza espressiva è molto forte; è la voglia di non far morire la musica sulla propria stessa ombra, di non stagnare su una comoda idea ripetuta all’ infinito. Insomma, il racconto della quotidianità,della vita stessa,fugace e voltagabbana,disordinata e placida. Gli Å raccontano questo, le loro divagazioni sono allegorie di quello che respirano ogni giorno, di ciò che è esprimibile musicalmente. Si alternano così tra mille strumenti, capita che il chitarrista abbandoni la vetusta arma personale per lanciarsi in gorgheggi di synth, e viceversa. Curiosità, innanzitutto.

Capacità di cogliere la melodia, di valorizzarla. Questione di tocco, e in questo il trio è magnifico. Nulla suona accademico,istituzionalizzato da archetipi antichi; merito di un invisibile stile estetico e performativo, che è innegabilmente la qualità aggiunta di questo trio: minimerie curatissime, attenzione per la qualità timbrica, per la freschezza dei suoni. Una soddisfazione di ascolto.

I titoli, assolutamente casuali, sono il frutto della divisione di un paragrafo di “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon (per chi avesse letto il libro).

È il primo disco degli Å, ed è bellissimo.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

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Moon alle 19:50 del 26 aprile 2007 ha scritto:

interessante

molto interessante. mi hai incuriosita.