R Recensione

10/10

Faust

Faust

Il grande merito di quel movimento musicale bollato da noialtri col termine un po’ sprezzante “kraut-rock” è stato, ovviamente, quello di promuovere un nuovo modo di fare musica. Ma, al di là di questo, i grandi gruppi del rock tedesco degli anni ’60 e ’70 hanno avuto la geniale intuizione di spingere in territori nuovi la relazione tra l’aspetto fisico della musica, quello cioè legato alla percezione dei suoni, e l’aspetto psicologico e sociale della stessa. In poche parole, più che rivoluzionare il modo di fare musica, i kraut-rockers (se così possiamo chiamarli) hanno stravolto il modo di ascoltarla, colpendo l’organo che raccoglie i suoni (l’orecchio) per depistare l’organo che li trasforma in sensazioni (il cervello).

Tra questi gruppi, i più rivoluzionari, iconoclasti e innovatori (nel senso che abbiamo visto sopra) sono stati molto probabilmente i Faust, con il loro primo e omonimo disco. In quest’opera viene compiuta una magniloquente operazione di sperimentazione, e tutto viene spinto all’ennesima potenza: il collage in stile Frank Zappa, il rumorismo dei Velvet Underground, alcune digressioni psichedeliche del rock più acido, la componente teatrale del rock, il sinfonismo tedesco, il titanismo distruttore dei compositori elettronici tedeschi (Karlheinz Stockhausen in testa), il senso di terrore, nevrosi e disgregazione della società industriale (poi leit-motiv della new wave di Pere Ubu, Television, Suicide eccetera) e via di questo passo.

L’album è suddiviso in tre lunghi brani. Dal primo all’ultimo istante la sensazione è quella di subire un attentato al proprio orecchio, e a tratti la musica sembra non avere alcun senso, mentre invece tutto ha un proprio messaggio, preciso e inequivocabile.

Si parte con un fischio assordante, sotto il quale si percepiscono alcune note di “All You Need is Love” dei Beatles e “Satisfaction” degli Stones. Questo è il primo messaggio: i Faust vogliono decapitare la musica così come siamo abituati ad ascoltarla, sia essa rassicurante come le melodie beatlesiane, sia essa trasgressiva e lasciva come quella dei Rolling Stones. Non si tratta di scegliere tra melodia e ritmo, tra volgarità e perbenismo, tra bene e male: i Faust dichiarano guerra all’orecchio. Vogliono far uscire di testa l’ascoltatore, distruggendo i suoi normali parametri. Perché, qualsiasi tipo di musica noi ascoltiamo, la ascoltiamo sempre con quei parametri. E quei parametri ci portano a determinate percezioni, che a loro volta impongono al cervello di ragionare in una precisa maniera. Era il ragionamento della pittura cubista, astratta e dadaista, se ci pensiamo: basta sottrarre l’orecchio e sostituirlo con gli occhi. Si potrebbe parlare per ore soltanto di questo fischio.

Ma “Why Don’t You Eat Carrots?” comincia a destrutturarsi con delle voci quasi militari, alcune note di pianoforte sconnesse e saltellanti, che poi avviano un jazz rock zappiano, da parodia (le chitarre come pernacchie, i fiati saltellanti e circensi…). Stop: voci demoniache si rincorrono e bloccano la marcia. La marcia riprende, lineare e malata: non si capisce se abbia un senso o se invece sia totalmente caotica. La tromba fischietta un motivetto subito ripreso dalla chitarra che fa la boccaccia, le percussioni seguono con tintinnii metallici e sullo sfondo ci sono folate di vento lavico. Entra un coro da internati in un manicomio, mentre si susseguono fischi, rumori di ogni tipo, radiazioni. L’orecchio non sa su cosa soffermarsi, si aggrappa alla melodia farsesca del tema principale, continuamente masturbato dai rumori, dai sibili, dai pagliacci assassini travestiti da musicisti. Poi resta solo rumore. Dopo va via anche il rumore e restano i soliti sibili, qualche tintinnio, una conversazione quotidiana tra due persone; riparte anche il tema principale, che si ferma subito, e allora ecco di nuovo rumori insopportabili, e una fugace linea di piano. A cosa serve tutto ciò? È presto detto: l’orecchio non capisce più nulla, e non sa cosa trasmettere alla psiche. Il cervello perde il contatto con la realtà: lo scopo è raggiunto, e allora la cerimonia può andare avanti con “Meadow Meal”.

Il secondo brano comincia con rumori elettronici, qualche soffio dai geyser dell’inferno, una specie di catena di montaggio che lavora chissà a che cosa. Suoni casuali si inseriscono qua e là. Arriva il solito e assordante sibilo, e poi parte una chitarra quasi flamenca a sorreggere una linea vocale che non riesce a restare melodica nel senso classico per più di qualche secondo, perché sussulta continuamente, con dei botta e risposta che lasciano infine il campo ad un’avvolgente jam blues-rock con le solite chitarre spernacchianti.

La jam si chiude e riparte il tema iniziale, con il suo inquietante arpeggio; rumori assortiti, pioggia post-atomica; qualche nota di organo in stile colonna sonora rallegra il paesaggio, con il classico trucco della musica quando vuole violentare l’ascoltatore: lo tranquillizza per colpirlo alle spalle.

E la coltellata arriva, inevitabile, con “Miss Fortune”. Quasi diciassette minuti. Si parte con un tema molto kraut rock: percussioni ossessive, chitarra acida e sconnessa, il synth che massacra tutta la jam, i rumori ondeggianti e assordanti. La catastrofe, però, è appena cominciata. Qualche rintocco di piano e di chitarra ci fornisce pochi appigli, ai quali ci avvinghiamo come ad una roccia fin quando arriva il classico piede che calpesta la mano. Termina la jam: siamo precipitati chissà dove. Rintocchi di triangolo oscuri sembrano evocare le campane prima che passi la processione. Altro rumore. Piatti. Poi arrivano voci a metà strada tra il malato terminale e lo scemo del villaggio, accompagnate da un po’ di pianoforte. La voce acquista eco e una batteria la sostiene pigramente e sconnessamente. Si aumenta di ritmo e, piano piano, è inevitabile arrivare al caos, che dura per qualche minuto, poi si spegne lentamente e lascia spazio a un coro di morti.

Rumore assortito, assemblato casualmente.

Entrano, infine, due voci che parlano tra loro, alternando una parola a testa su una chitarra monotona e triste. “Are We Supposed To Be Or Not To Be?”, si domandano le due voci. E concludono il loro excursus filosofico stabilendo che “nobody knows if it really happened”. Nessuno sa se è davvero accaduto. Infatti, sollevate le cuffie, e riacquistato il normale uso dell’orecchio, si percepiscono i soliti rumori: un’auto che passa, una voce che chiama qualcuno, il televisore che chiacchiera nell’altra stanza. L’orecchio è vivo, sta bene. Ma nessuno sa se la sua morte sia accaduta davvero.

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Voto degli utenti: 9,3/10 in media su 34 voti.

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Alessandro Pascale (ha votato 10 questo disco) alle 11:31 del 2 aprile 2007 ha scritto:

Andateci piano

perchè questo è un disco che fa davvero male se uno non è preparato. Mi sembra che cmq qui si sia fatto un ottimo lavoro di preparazione verso uno degli album più complessi e geniali del rock. Ottimo lavoro!

ozzy(d) (ha votato 10 questo disco) alle 13:32 del 4 aprile 2007 ha scritto:

imprescindibili

ottivo lavoro, album splendido

Arnold Layne (ha votato 10 questo disco) alle 6:59 del 30 aprile 2007 ha scritto:

10

Uno dei 5 o 6 dischi che meritano il 10. Rivoluzione, Tutta sta roba in un solo disco non si era mai sentita e mai si sentirà. Altro che disco, questa è n'opera d'Arte a 360°. Dice bene Peasyfloyd, l'ascolto non è per nulla semplice, andateci piano appunto! Ottima recensione, non era facile

Cas (ha votato 10 questo disco) alle 11:13 del 5 agosto 2007 ha scritto:

capolavoro

tre tracce, un immenso capolavoro. un album che a mio avviso ha conquistato l'immortalità. avanguardia radicale...

Neu! (ha votato 10 questo disco) alle 11:36 del 6 ottobre 2007 ha scritto:

!!

qui il dieci ci sta, eccome se ci sta...

Nucifeno (ha votato 10 questo disco) alle 11:09 del 5 gennaio 2008 ha scritto:

O_O

Al kraut-rock mi sono avvicinato proprio in questo periodo grazie agli Amon Duul II, e i secondi che volevo approfondire erano proprio i Faust. Ma dopo aver letto questa rece (bellissima, tra l'altro) sono rimasto un po' interdetto XD

Cas (ha votato 10 questo disco) alle 17:52 del 5 gennaio 2008 ha scritto:

perchè interdetto? beh, questo album ha sicuramente a che fare con il kraut rock (anche solo perchè è tedesco), ma la sua importanza si riflette in primis sul rock tutto. Io te lo consiglio perchè è davvero uno spettacolo, nonché un lavoro fondamentale...per quanto riguarda il kraut rock ascolta tago mago dei Can!

cthulhu (ha votato 9 questo disco) alle 14:29 del 4 settembre 2008 ha scritto:

Grandiosi!!

Una delle idee più originali di tutto il Krautrock!! Essenziali.

Nucifeno (ha votato 10 questo disco) alle 13:01 del 14 novembre 2009 ha scritto:

Allucinante

Musica da fisici nucleari. Pazzesco.

PetoMan 2.0 evolution (ha votato 6 questo disco) alle 22:27 del 27 novembre 2009 ha scritto:

mah...

me lo ha passato un amico un paio di anni fa, non mi ha mai entusiasmato, forse non è proprio la musica che fa per me.

Bellerofonte (ha votato 10 questo disco) alle 13:18 del 28 marzo 2010 ha scritto:

Non penso possa esistee un aggettivo

Uno dei viaggi sperimentali, sulle domande dell'esistenza umana, più grandi di sempre.

unknown (ha votato 10 questo disco) alle 21:10 del 24 aprile 2010 ha scritto:

ci andro ' piano

ho comperato il cd che pero' altre a contenere questoLP contiene anche il secondo SO FAR.....

ma ora qui leggo che devo fare attenzione mentre lo ascolto ... azz devo mettere l'armatura alle orecchie?

unknown (ha votato 10 questo disco) alle 18:09 del 25 aprile 2010 ha scritto:

provengono dal futuro

cazzo che musica.... non c'e la stelletta di supplemento?

io devo dire sono stato anche fortunato.... a trovare questa versione del cd con dentro "faust uno" e "so far" perche' vi posso assicurare che quest'ultimo... e un capolavoro tanto quanto il primo

la 3 canzone di so far " no harm" con quel ritmo quasi tribale mischiato all'elettronica e non so a che altro e' incredibile!!!!!

questi due album sono avanti 30 anni rispetto ai primi anni 70

anzi per me i faust non sono ancora nati...

provengono dal futuro....hanno voluto magnanimamente.... darci un assaggio della musica che verra'

dal 2025 in poi

grazie a voi di avermeli fatti scoprire!!!!

Hexenductionhour (ha votato 10 questo disco) alle 18:06 del 20 gennaio 2011 ha scritto:

quest'album è una continua scoperta....come un viaggio allucinante verso mete sconosciute,arte in musica,innovazione,tecnica,genialità in quest'album c'è tutto ed è allo stesso tempo al di fuori di tutto

dalvans (ha votato 2 questo disco) alle 16:59 del 23 settembre 2011 ha scritto:

Pessimo

Inascoltabile

Hexenductionhour (ha votato 10 questo disco) alle 21:31 del 23 settembre 2011 ha scritto:

Inascoltabile non direi, ci sono molti spunti interessanti...e non è così "ostico" come sembrerebbe, per me è semplicemente un album pazzesco.

Mirko Diamanti (ha votato 10 questo disco) alle 16:07 del 17 novembre 2011 ha scritto:

Rivoluzionario, ma anche piacevole. Inestimabile!

bart alle 18:32 del 17 novembre 2011 ha scritto:

RE:

Rivoluzionario sicuramente...piacevole mica tanto!

Mirko Diamanti (ha votato 10 questo disco) alle 21:16 del 17 novembre 2011 ha scritto:

a Bart

Invece ti dirò che io lo trovo persino orecchiabile

KandyKorn (ha votato 9,5 questo disco) alle 17:03 del 7 settembre 2012 ha scritto:

He told you to be free and you obeyed we have to decide which is important a war we never see or a street so black babies die? a system and a theory or our wish to be free? to organise and analyse and at the end realise that knowbody knows if it really happened

luin alle 17:26 del 7 settembre 2012 ha scritto:

@KandyKorn: fammi indovinare... un testo che batte qualsiasi lirica Bob Dylan o Nick Cave abbiano mai scritto... semplicemente grane Poesia?

alekk alle 19:04 del 3 gennaio 2015 ha scritto:

Allora non è così ostico come sembra . Detto questo capolavoro sicuramente . Forse bestemmierò ma non sentite un po di "post rock " in questo album? . Cioè diciamo un precursore visto che parliamo dell'alba degli anni 70'

FrancescoB (ha votato 8,5 questo disco) alle 19:34 del 3 gennaio 2015 ha scritto:

C'è sicuramente una concezione vasta e avanguardista di ciò che il rock (in senso lato) può fare, se l'avessero pubblicato 20 anni dopo sarebbe stato certamente etichettato come un lavoro "post", anche perché post non è un genere ben definito (basti pensa a cosa identificava all'inizio e per cosa lo usiamo oggi).

RobertS alle 16:39 del 19 gennaio 2018 ha scritto:

Bah