The Locust
Plague Soundscapes
Per chi ama le definizioni elaborate. Plague Soundscapes: schegge di acciaio impazzite, che vengono sparate a migliaia in ogni direzione, e che riescono a conficcarsi, con il loro geniale sarcasmo e la loro folle lucidità, nel calmo e serioso pavimento della nostra memoria più recondita, rovinandone il delicato e complesso mosaico con radici sterili ma permanenti.
Per chi ama le definizioni semplici. Plague Soundscapes: terrorismo sonoro.
Eh, già. Perchè non esistono compromessi quando si sta parlando della formazione più deviata del nuovo millennio (seconda, forse, solo agli Agoraphobic Nosebleed). Chi si avvicina a quest'album, sappia: qui non c'è melodia. Chi si avvicina a quest'album, sappia: qui non ci sono compromessi. Chi si avvicina a quest'album, sappia: è sconsigliato l'ascolto ai portatori di pacemaker, alle donne gravide... e a tutti coloro che non hanno particolari affinità con spietate scudisciate noise, lunghe tanto una manciata di secondi quanto tre minuti abbondanti, soffocate sotto un assurdo vocalism, una montagna di riff al limite della decenza, uno smodato e pericoloso uso del sintetizzatore.
Non basta. Perchè la band capitanata da Justin Pearson, aldilà degli estremismi, della demenzialità nell'assegnazione dei titoli alle composizioni (meritano l'Oscar nomi come Anything Jesus Does, I Can Do Better", oppure Priest With The Sexually Transmitted Disease, Get Out Of My Bed, o ancora The Half-Eaten Sausage Would Like To See You In This Office, il primo singolo estratto) e dell'azione consapevolmente distruttiva dei testi (contro tutto e tutti) mostra un livello tecnico davvero sorprendente. Tutte le canzoni (un totale di 23 per 21 minuti complessivi) mettono bene in evidenza la micidiale doppia cassa di Gabe Serbian, abilissimo a creare blastbeats e ad infilare la rullata-che-non-ti-aspetti-e-che-ti-lascia-sorpreso. Sia il basso che la chitarra macinano accordo su accordo, assolo su assolo, con una velocità delirante ed una nonchalance sbalorditiva, supportati, affiancati ed alimentati, in una spirale contagiosa e ammalata, dalle voci di Pearson e Bobby Bray, spinte in rauche strida o in urlacci acuti. Fantastica anche l'opera della tastiera, che sovente si presta ad inserire, in mezzo al rumore generale, synth elettronici talmente estremi nella loro ridicola comparsa da risultare inevitabilmente geniali.
E tutto questo è Plague Soundscapes: una piaga purulenta in mezzo alla scena perbenista americana, una piaga che, a distanza di quattro anni dalla sua uscita, fa ancora discutere ed ammalia i più con la sua verità distorta. Plague Soundscapes: spina nel fianco della dignità, ma realizzata con intelligenza insospettata.
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