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R Recensione

7/10

Rufus Wainwright

All Days are Nights: Songs for Lulu

E' un disco particolare questo "All days are Nights: Songs for Lulu" di Rufus Wainwright, anomalo e difficile. Anomalo perchè composto per solo piano e voce, dopo una tripletta di album fortemente orchestrati e iper-prodotti (da "Want One" in poi), tanto da fare dell'autore uno dei maggiori rappresentanti del pop orchestrale degli ultimi dieci anni. Difficile perchè così com'è concepito non è certo il massimo della fruibilità: richiederà un mood e un'attenzione particolari nell'ascoltatore e non si farà apprezzare al primo ascolto.

Le tracce racchiuse nell'album rappresentano il compendio di tre anni faticosi, spesi da Wainwright tra interminabili tour e l'intenso lavoro teatrale: il progetto di Robert Wilson per la Berliner Ensemble per il quale Rufus ha musicato 25 sonetti di Shakespeare (tre dei quali sono inclusi nell'album), da una parte, e la composizione e messa in scena nientepopodimeno che della sua prima opera lirica, Prima Donna, dall'altra (da qui è tratta la penultima traccia, Les Feux d'artifice t'appellent). A completare il tutto, e va detto non a scopo di mero gossip ma perchè essenziale alla genesi dell'album, va considerato anche l'aspetto privato, vale a dire la lunga malattia conclusasi con la morte della madre, la folk singer Kate McGarrigle, avvenuta lo scorso gennaio: una figura materna che è stata assolutamente cruciale nella formazione e nelle scelte artistiche del Nostro e alla quale l'album viene idealmente dedicato.

Non poteva essere che un album minimale, di rielaborazione personale, quasi addirittura di chiusura, come se Wainwright avesse voluto chiudere fuori di casa il mondo con tutte le fatiche che comporta, in una sorta di convalescenza, spogliandosi di tutto fuorchè dell'essenziale: quella voce e quel piano che rappresentano i suoi massimi punti di forza, i suoi talenti indiscussi, l'eredità materna. La prima traccia e l'ultima (Who Are You New York?, Zebulon) sono canzoni già note ai fans, composte nel 2008 e già eseguite live abitualmente. La prima è una riflessione sconfortata sull'America ai tempi di Bush su un pianoforte che ricorda lo scorrere tumultuoso di un fiume, di notte. So Sad With What I Have è forse una delle canzoni migliori di questo disco, con la melodia che ricorda Gershwin, mentre nella successiva, Martha, rivolge alla sorella il proprio bisogno di stringere le relazioni con i famigliari lontani. Vi troviamo gli immancabili omaggi al musical e Judy Garland in Give Me What I Want and Give It To Me Now!, così come alcuni pezzi pop, True Loves, la bellissima The Dream e What Would I Ever Do With A Rose?, che sarebbero stati bene in Want One e Want Two, e dove peraltro gli svolazzi pianistici non fanno sentire la mancanza dell'orchestra.

Dei tre sonetti, il numero 20, A Woman's Face, poema sull'amore omosessuale, forse una delle cose di Rufus più belle che si siano sentite, gli sembra cucita addosso come un abito di sartoria. Les Feux d'artifice t'appellent è l'aria finale (in Prima Donna cantata da una soprano) della sua opera in francese che, nella versione pianistica, risulta un po' prolissa, mentre la conclusione viene lasciata a Zebulon, brano che nei suoi 5:46 tende a risultare piuttosto soporifero. Peccato per il finale, un po' sotto tono.

Difficilmente un album così composto potrà incontrare un grande successo di pubblico: Shakespeare e l'aria d'opera - credo - venderanno poco. Ma questa volta è tutto previsto: sembra esserci la volontà di Rufus di mettersi a nudo e di consegnarci un album che altro non è che un'istantanea di questo suo momento: al top della forma dal punto di vista vocale e interpretativo, un po' meno dal punto di vista dell'umore. Il perché lo spiega lo stesso autore nel secondo brano: "I guess the world needs both the sun and the moon too".

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crisas (ha votato 8 questo disco) alle 1:39 del 4 maggio 2010 ha scritto:

Canzone di rara bellezza.

chinaski (ha votato 8 questo disco) alle 10:06 del 4 maggio 2010 ha scritto:

Meraviglioso e amaro disco che va ascoltato conoscendo il contesto nel quale è stato partorito. Difficile ma brillante.

salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 14:32 del 4 maggio 2010 ha scritto:

Più austero e, musicalmente, più sofferto dei precedenti. Voce di un 'intensità strabiliante, ma questo ormai lo sanno anche i "sordi"... Gran bel disco!

hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 14:09 del 5 maggio 2010 ha scritto:

funebre e desolato, "all days are nights" è un colpo al cuore. renderlo così minimale , con solo voce e piano ad animarlo, ha esaltato il lato più istintivo di rufus in questo momento della sua vita. recensione molto lucida, complimenti davvero ! 7,5